Cultura

"La statua non lasci S.Abbondio":
Un episodio nella Cremona del 1895

Nella ricerca dello storico Fabrizio Superti la ricostruzione di una vicenda che ci riporta nel lontano Ottocento evidenziando un Paese ancora lacerato da profonde divisioni fra le Istituzioni e la Chiesa.

L'effigie custodita nella chiesa di S. Abbondio a Cremona

Cremona, ottobre 1895, questa processione non s’ha da fare. Il prefetto di Cremona, Sebastiano Piras-Lecca, vieta la processione tanto attesa per la traslazione della Madonna Nera nella cattedrale: una vicenda che ci riporta nel lontano Ottocento evidenziando un Paese ancora lacerato da profonde divisioni fra le Istituzioni e la Chiesa.

La cosiddetta “Questione Romana” alimentava ancora animati distinguo fra i laici ed i cattolici con differenti approcci all’interno dei due schieramenti. Sensibilità e posizioni che rappresentavano le diverse anime del Risorgimento rispetto ad un tema, quello del potere temporale, ancora ben lontano da trovare una soluzione condivisa.

Le dinamiche nazionali si riflettevano ovviamente anche nella realtà cremonese. All’epoca Cremona poteva annoverare una classe politica capace di rivestire un ruolo di primo piano nello scenario italiano. Le diverse rappresentanze politiche sfumavano dall’estrema sinistra al variegato mondo monarchico in cui convivevano anime ben differenziate.

Il mondo cattolico si presentava anch’esso attraversato da una frattura alquanto netta fra chi propendeva ad un avvicinamento alle Istituzioni dello Stato (transigenti o conciliatoristi) e chi invece si collocava su posizioni di aperto contrasto (intransigenti). L’episcopato di Bonomelli, esponente di spicco del mondo conciliatorista, si doveva comunque muovere all’interno di una diocesi in cui persistevano ampie componenti di presuli in netto contrasto con la linea espressa dal vescovo.

In tale contesto di palesi distinguo il mondo cattolico si ricompattava per festeggiare l’anniversario della Santa Casa di Loreto di cui a Cremona, per volere di Gian Pietro Ali, esisteva una copia già a partire dal lontano 1624 presso la chiesa di S.Abbondio.

Nella mattinata del 19 novembre 1894 la Commissione, istituita per le Feste centenarie della Traslazione della Santa Casa di Loreto, veniva ricevuta dal vescovo Bonomelli per illustrare e concordare il dispiego delle iniziative previste in una annualità che avrebbe avuto inizio a partire dal 10 dicembre.
Un anno di cerimonie da avviarsi con una solenne Novena da tenersi nella chiesa di S. Abbondio e culminanti poi nel trasferimento della Santa Effige nella Cattedrale dove si sarebbero tenute sacre missioni con importanti predicatori provenienti da varie località d’Italia. In aggiunta si erano pianificati diversi pellegrinaggi predisposti nei vicariati esterni della diocesi.

 

CATTOLICI (DIVISI), MONARCHICI E LIBERALI. Nella tarda primavera del 1895 Cremona era nel frattempo interessata da due tornate elettorali riferite sia all’ambito locale amministrativo che alla politica nazionale. Il rinnovo del consesso locale vedeva la vittoria della lista proposta dal gruppo radicale in cui si distinguevano, fra gli altri, alcuni esponenti dei cattolici intransigenti. Una alleanza anomala che si reggeva sull’intento di quest’ultimi di impedire ai cosiddetti cattolici-liberali, accomunati nel voto ai monarchico conservatori, di prevalere nel voto popolare. Un procedere in cui i i veti incrociati propri del mondo cattolico finivano per limitarne la potenziale capacità elettorale.

Le elezioni politiche, previste per il 26 maggio, animavano anch’esse il dibattito politico in vista delle candidature da proporre nei cinque collegi in cui era ripartita la provincia cremonese; nell’imminenza della tornata elettorale provocava alquanto “rumore” la visita che il prefetto compiva preso il Collegio Vida, un convitto gestito da tempo dai Gesuiti.

Un episodio alquanto singolare che scatenava le rimostranze del mondo laico cittadino che intravedeva, in questa mossa, un tentativo di “lisciare il pelo” all’elettorato moderato contiguo agli ambienti cattolici. Una tattica, quella dettata dal Governo Crispi, che si intravedeva anche negli accordi in essere fra il generale Baratieri, responsabile della spedizione africana, e il vescovo Bonomelli per l’invio dei frati Cappuccini nel Corno d’Africa.
A destare “scandalo” contribuiva anche la presenza di candidati iscritti o afferenti alla massoneria in tutti i collegi elettorali; un evidente segnale della massima potenza che la massoneria seppe esprimere sul finire dell’Ottocento nei vari settori della società.

L’ECO DI PORTA PIA. Il clima politico e civile in città si animava con l’avvicinarsi delle celebrazioni per il 25° anniversario della presa di Porta Pia; una ricorrenza che gli ambienti laici ed istituzionali interpretavano in maniera contrapposta rispetto alla vulgata espressa da ampi settori del pensiero cattolico. Due mondi inconciliabili che perpetuavano un dissidio lacerante che privava il Paese di una condivisa e piena legittimità.

Mentre da una parte si festeggiava il compimento di un sogno agognato da tempo immemore, dall’altra si rendeva omaggio al “prigioniero di S. Pietro” e all’affronto portato ad una storia millenaria; anche in città si predisponevano iniziative per rimarcare in modo adeguato una data simbolica che contemplava tutto il percorso risorgimentale.
Dalla parte avversa si promuoveva la raccolta di fondi, caldeggiata dalla Unione Cattolica cremonese, destinata al cosiddetto “Obolo di S.Pietro” che si contrapponeva alla “gazzarra settembrina” e dimostrava fedeltà assoluta alla figura del Papa.

Il giornale La Favilla, espressione dei cattolici intransigenti, così commentava l’esito della conquista di Roma da parte dei cosiddetti liberali: “Si è avuto un progresso morale? Si davvero! Per quel buco è entrato nella Santa città un esercito di furfanti, di ladri, di scrocconi, di corrotti e corruttori si da renderla come un’immensa cloaca di ogni sorta di immondizie, il cui fetore ancora appuzza tutta Italia.”
Il duro giudizio apparso sul foglio cattolico all’indomani delle celebrazioni “brecciaiuole” si abbinava agli strali indirizzati verso la massoneria, specie nella combinata giudaica, ritenuta la vera ispiratrice dell’operazione Porta Pia.

“LA STATUA DELLA MADONNA NERA NON ESCA DA S.ABBONDIO”.  La notizia della presenza dell’arcivescovo di Milano, Monsignor Andrea Ferrari, prossimo anche ad inaugurare la chiesa di Robecco d’Oglio, conferiva alla celebrazione un prestigio ancor maggiore; la processione era prevista nel tardo pomeriggio del 26 ottobre con imponente partecipazione del clero cittadino e suburbano. Il percorso era stato prescelto per consentire una vasta partecipazione popolare lungo tutto il percorso fra la chiesa di S. Abbondio e la cattedrale. Il programma prevedeva la permanenza della sacra effige almeno fino alla prima settimana di novembre.

Mentre si stavano definendo gli ultimi dettagli giungeva, nell’imminenza dell’evento, una “intimazione prefettizia” che vietava la processione per problemi di ordine pubblico: l’autorizzazione preventiva per poter effettuare liturgie al di fuori degli edifici sacri risaliva alla ben nota circolare emanata nel 1877 dall’allora ministro dell’Interno Giovanni Nicotera. Una limitazione che aveva prodotto parecchie tensioni fra le autorità locali ed il clero che a volte infrangeva i dinieghi incappando poi nelle sanzioni previste.

Il provvedimento ovviamente provocava forti reazioni in variegati ambiti cittadini. Il collegio dei parroci cittadini esprimeva al prefetto le proprie doglianze per un atteggiamento che appariva improprio stante la vasta devozione che la città da sempre riservava alla sua Madonna Nera. I timori di incidenti o turbamenti dell’ordine pubblico apparivano pertanto una motivazione poco conforme rispetto ad un ambiente che, seppur animato da un vivace dibattito, non appalesava timori particolari.

La decisione assunta in extremis veniva anche letta come di fatto obbligata in quanto derivante, con ogni probabilità, da scelte operate nei palazzi romani e poi comunicata ormai a ridosso dell’evento; le tensioni scaturite per i recenti festeggiamenti di Roma capitale avevano sicuramente orientato la politica crispina verso un inasprimento dei rapporti con le istituzioni religiose.

Il perentorio indirizzo prefettizio appariva inoltre come un evidente sgarbo all’indirizzo di un vescovo che da tempo si prodigava per ridurre la distanza fra lo stato e la chiesa; la presenza inoltre di una figura come il cardinale Ferrari, a capo di una diocesi di tale importanza, accentuava ancor di più la rilevanza “politica” dell’azione prefettizia.
L’incidente “diplomatico” forniva nuove motivazioni alla componente cattolica intransigente per sottolineare quanto fosse impropria una condotta a favore di una conciliazione con le istituzioni statali; il mantenimento in essere del non expedit si confermava come uno strumento inviolabile per preservare i cattolici da una compromissione con una politica asservita a finalità irreligiose.

L’ESCAMOTAGE: COPRIRE LA STATUA CON UN TELO. Il trasbordo della statua presso la cattedrale veniva pertanto effettuato con modalità inconsuete ed irrituali: quattro sacerdoti, su incarico del parroco di S.Abbondio Ignazio Bocchi, trasportarono la statua, coperta da un sudario per non renderla riconoscibile, compiendo un percorso lungo strade minori e meno affollate. Un dispositivo resosi necessario per non incappare in eventuali sanzioni elevate per infrazione alla nota prefettizia.
La giornata del 26 risultava comunque contrassegnata da una ridda di passaggi che i fedeli poterono seguire durante l’intera programmazione delle cerimonie religiose; l’arrivo del cardinale, già atteso in mattinata, si protraeva fino alle tredici. Il resoconto del foglio La Favilla annotava come …”l’incertezza dell’arrivo durato fino dalle nove del mattino, e i divieti dell’autorità politica abbiano reso impossibile un ricevimento in forma solenne con musiche e sfilate di associazioni e di stendardi, tuttavia l’accoglienza quasi improvvisata riuscì tanto imponente che, a detta di tutti, non se ne era mai vista una simile da lungo tempo a Cremona.”

Sulla carrozza adibita al trasporto del presule milanese, scortata dai carabinieri, salivano il vescovo Bonomelli, l’arciprete della cattedrale (Celso Calza) e il parroco di S.Agata (mons. Mainestri); un seguito di oltre trenta carrozze accompagnava l’arcivescovo lungo il tracciato per raggiungere la cattedrale.

Le cerimonie, alla fine e nonostante questo caos organizzativo, risultarono alquanto imponenti con largo concorso di devoti e si dispiegarono poi nell’arco di circa una settimana con la presenza, come predicatori, di mons. Sanfermo di Venezia e del vescovo Schirò, incaricato per i cattolici di rito greco della Calabria.

Fabrizio Superti

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