Cronaca

Morto nella Rsa di Trigolo:
assoluzione per tutti gli imputati

Nessuna responsabilità in merito al decesso di un ospite della Rsa Milanesi e Frosi di Trigolo che alla fine del mese di ottobre del 2021 era precipitato dalla finestra del bagno del Nucleo Alzheimer al secondo piano della casa di riposo. Assolti dall’accusa di omicidio colposo tutti gli imputati:  il direttore sanitario e due ausiliarie socio assistenziali, assistiti dagli avvocati Abdoulaye Mbody e Fausto Teti.

Per il direttore sanitario, invece, il pm onorario aveva chiesto la condanna a nove mesi di reclusione, mentre per le altre due imputate, sei mesi ciascuna. L’accusa,  nel chiedere le condanne, ha parlato di “gestione inadeguata”, di “negligenza” per la “mancata sorveglianza, essendo la vittima un paziente ad altissimo rischio di fuga” e di “responsabilità per non avere impedito l’accesso” dell’ospite alla stanza del bagno.

Diverso il parere del giudice, che depositerà la sentenza di assoluzione entro 60 giorni.

Il paziente, un uomo di 70 anni, era ricoverato nella Rsa da un mese ed era morto in ospedale due mesi dopo la caduta. “La demenza è un fattore di rischio lieve di suicidio“, avevano spiegato in aula gli esperti del pm. L’ipotesi più probabile, dunque, è che il paziente cercasse una via di fuga per uscire dalla struttura. Il 70enne deambulava autonomamente. Era un ospite definito dal personale “problematico, solitario”. “Era spesso vicino alla porta”, aveva raccontato una dipendente della Rsa, “aveva tentato anche di aprirla, voleva andare a casa. Quando guardava dalla finestra chiedeva cosa c’era al di là del parcheggio”.

A restare un mistero è la questione della chiavi. La porta del bagno assistito, e cioè la stanza utilizzata per fare il bagno agli ospiti, per riporre i carrelli della biancheria e materiale per i letti, era stata trovata chiusa, ma non a chiave. La chiave era riposta sulla mensola dove c’era l’insegna della guardiola. “La tenevamo lì”, era stato spiegato in aula. “Era leggermente nascosta ed era usata dai manutentori, dagli operai e dal personale delle pulizie che una volta finiti i lavori dovevano chiudere e riporre le chiavi”. I dipendenti della Rsa, invece, avevano il proprio mazzo. Il bagno, l’unico ad avere una finestra non dotata di chiusura, era una delle stanze, insieme a quella di uscita dotata di codice, che avrebbe dovuto essere sempre chiusa. Appeso, infatti, c’era il cartello con l’avviso firmato dal direttore sanitario.

L’avvocato Abdoulaye Mbody

Poteva il paziente, si era dibattuto in aula, aver preso le chiavi, aperto la porta del bagno e aver riportato le chiavi al suo posto prima di precipitare dalla finestra?. No, secondo i consulenti della difesa. “Un comportamento così organizzato non è compatibile con un paziente affetto da demenza. Qui si è trattato di un impulso di fuga nato dal profondo, un istinto intimo”. Un’ipotesi scartata anche dai consulenti della procura, che tuttavia non avevano respinto del tutto la possibilità che il paziente fosse in grado di prendere le chiavi, di aprire la porta e di chiuderla alle sue spalle. Oppure quella porta era stata lasciata aperta… Ma da chi?. E chi ha visto le chiavi lasciate nella serratura, per poi toglierle e riporle sulla mensola senza chiudere a chiave?. All’epoca non c’erano telecamere. Oggi, invece, la struttura ne è dotata.

Quella mattina, come già avevano raccontato i testimoni presenti nella Rsa, il paziente non si riusciva a trovare. “Lo abbiamo cercato dappertutto. Nelle stanze, nella sala da pranzo, dove poco prima stava mangiando, nel reparto a piano terra e anche all’esterno”. A trovarlo era stata una delle ausiliarie. “Sono andata verso il parcheggio e uscendo ho guardato verso la camera mortuaria. Poi l’ho visto. Era a terra, in corrispondenza del bagno. D’istinto ho guardato in alto e ho visto la zanzariera della finestra rotta“.

L’avvocato Fausto Teti

“Quando sono salita”, aveva raccontato una delle imputate, “la porta era chiusa, ma non a chiave, e la chiave era al suo posto sulla mensola“. “Quella porta era sempre chiusa“, aveva ricordato l’altra dipendente finita sotto accusa, presente quella mattina nel Nucleo Alzheimer ma che prestava servizio in un altro blocco della struttura. La donna era entrata nel bagno poco prima della tragedia. “Sono sicurissima di aver chiuso a chiave“, aveva ricordato.

Il paziente stazionava nella zona della porta e aveva tentato di digitare il codice per uscire. “Per questo motivo”, aveva spiegato il direttore sanitario, “era stato aumentato il livello di sorveglianza dell’ospite. Ho fatto cambiare il codice alla porta e vietato che uscisse anche a fare una passeggiata. La finestra del bagno assistito era l’unica a non avere la serratura. Ora, invece, è dotata di inferriate”.

Sara Pizzorni

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