A Villanova d’Arda per il Grande Fiume “Il sacro della Primavera” di Lucenti
Venerdì 29 (ore 21.30) a Villanova d’Arda, Isola Giarola, all’interno della rassegna del Grande Fiume va in scena Il sacro della primavera, uno spettacolo che prende spunto dalla Sagra della primavera di Igor Stravinskij. Con Andrea Capaldi, Ambra Chiarello, Andrea Coppone, Massimiliano Frascà, Francesco Gabrielli,Sara Ippolito, Francesca Lombardo, Carlo Massari, Gianluca Pezzino, Livia Porzio, Emanuela Serra, Chiara Taviani, Teresa Timpano. Incursioni sonore di Maurizio Camilli. Ideazione e coreografia di Michela Lucenti, in collaborazione con Balletto Civile.
La Sagra della Primavera è un’opera d’avanguardia nata per distruggere le tradizioni, è una meravigliosa metafora di questa generazione che attende obbligata allo stallo, osservata, spiata, pesata, vergine perché impossibilitata a fare da sola. La nostra generazione non può più attendere. Non c’è più tempo per le spiegazioni. Azioni precise, forti, furiose, velocissime. Ognuno perde forza ma solo per brevi attimi, subito rimesso in piedi dagli altri, con sostegno, urgenza, compassione. I corpi scivolano e cercano aria in vestiti troppo grandi, pantaloni e camice dei fratelli maggiori. Sotto, le nudità esili scoperte che si intravedono appena quando si va a testa in giù. La sagra è il tempo interiore che si confonde, che si ferma, mescolata al resto dei suoni del mondo. Alla grande cacofonia.
Siamo stati una generazione in fuga e poi mentre correvamo ci siamo detti: Adesso anche basta.
Un balletto per eccellenza e un fiasco per eccellenza. Tutti sanno che alla sua prima rappresentazione La sagra della primavera è stata un insuccesso. Perché è un’opera d’avanguardia, giovane, nata per distruggere le tradizioni. Si dice che la musica moderna sia nata con essa. Alla sua prima rappresentazione a Parigi nel 1913 ha provocato una rissa. Il pubblico non si è limitato agli insulti verbali, non si è limitato alla parola. Ha “agito” attraverso un vero e proprio attacco fisico. La sagra è fisica. Stravinskij dichiarò che ebbe una visione prima di scrivere quest’opera. Essa consisteva in un rituale in cui un cerchio di anziani saggi assisteva alla danza di una vergine che doveva danzare fino a morire. Una meravigliosa metafora del nostro tempo. Una meravigliosa metafora di questa generazione che attende obbligata allo stallo, osservata, spiata, pesata, vergine perché impossibilitata a fare da sola. A godere. E’ già stato fatto tutto ed è stato fatto bene, meglio. Non possiamo più nasconderci dietro grandi trovate o grandi invenzioni. Non ci crede nessuno e nemmeno noi. Ora l’urgenza è più grande, come quando un pensiero tra tanti ti si incastra, si ferma nel cervello come un morso. La nostra generazione non può più attendere, i cicli naturali si invertono, i vecchi ci osservano e noi invecchiamo senza sbocciare in uno stallo esistenziale che ci chiede sempre di attendere pazienti e comprensivi facendoci credere che sia naturale. Non è naturale. Noi figli della terra dell’acqua della luce non possiamo non sbocciare perché non è il momento giusto. Quando e qual è il momento giusto? Ecco l’orgiastica rinascita di una generazione. La liberazione del seme della speranza. Lasciamo definitivamente i padri come si lascia l’inverno. Smettiamo di essere figli. E allora che sia, che il rito propiziatorio avvenga con il nostro sudore che ha nutrito la pazienza, ora vogliamo bonificare la terra sulla quale camminiamo e costruiamo. Vogliamo la verità. E’ il nostro tempo e ce lo riprendiamo, gli antenati saranno d’accordo con noi senza bisogno di tanti discorsi. Non c’è più tempo per le spiegazioni. Torniamo all’origine, torniamo al seme. Siamo corpi. Non ci serve altro. Siamo corpi. Michela Lucenti