Cronaca

Ammalata di tubercolosi, causa di lavoro dopo il licenziamento. Accordo raggiunto: 12mila euro di risarcimento

Si è conclusa con un accordo tra le parti la causa di lavoro intentata da una dipendente di un supermercato in provincia di Cremona ammalata di tubercolosi nei confronti dell’azienda che l’ha licenziata per il superamento del periodo di comporto. L’accordo è stato ufficialmente raggiunto con un risarcimento di 12.000 euro netti. Commessa dal marzo del 2004 in un supermercato della provincia, la dipendente, una cremonese di 27 anni, si era ammalata nel 2008 di tubercolosi, una patologia che l’aveva costretta ad abbandonare il lavoro e a restare a casa in malattia per seguire un ciclo di cure programmate dai medici dell’ospedale di Cremona. Per il datore di lavoro, la donna era rimasta a casa 181 giorni, superando in questo modo il periodo di comporto di 180, così come previsto dall’articolo 167 del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi. “L’articolo 175, però”, avevano ricordato i legali della donna, gli avvocati Monia Ferrari e Massimiliano Corbari, “si riferisce espressamente ai lavoratori affetti da tubercolosi che hanno diritto alla conservazione del posto fino a 18 mesi dalla data di sospensione del lavoro a causa della malattia tubercolare”. L’azienda aveva invece sostenuto che per usufruire dell’articolo 175 del contratto collettivo nazionale era necessario il ricovero in ospedale, un ricovero che per la dipendente cremonese non c’è mai stato. Circa la questione del periodo di comporto valutato in base all’articolo 167 del contratto di lavoro riferito alle malattie generali e agli infortuni, l’azienda, secondo la Ferrari e Corbari, aveva erroneamente compreso nei 181 giorni anche i due di malattia che la dipendente si era presa perché influenzata.

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