Il lavoro nobilita ancora l’uomo?
A trent’anni dalla prima enciclica sociale di Giovanni Paolo II (Laborem Exercens) torna centrale il tema della occupazione. Mentre aumentano povertà e disoccupazione giovanile. Tre categorie vulnerabili: giovani, donne, disabili.
Giusto trent’anni fa (autunno 1981) Papa Giovanni Paolo II firmava a Castelgandolfo la sua prima enciclica sociale, La Laborem Exercens, indirizzata a tutto il mondo cattolico e “ad universos bonae voluntatis homines”. Un momento atteso, visti i tempi; visti gli ultimi grandi mutamenti politici, economici e tecnologici. Una enciclica poderosa cui seguiranno la Sollecitudo Rei Socialis (30 dicembre 1987) e la Centesimus Annus (1 maggio 1991).Era la quinta grande enciclica sociale della Chiesa moderna. Novant’anni prima c’era stata la famosa Rerum novarum (1891) di Leone XIII, poi la Quadrigesimo anno (1931) di Pio XI, la Mater et magistra (1961) di Giovanni XXIII, la Popolorum progressio (1967) di Paolo VI. A soli tre anni di distanza dalla sua elezione, il papa polacco aveva avuto il coraggio e la forza di affrontare problemi di grande importanza come, appunto, il senso del lavoro umano, la dignità dell’uomo, le responsabilità dei governanti, la disoccupazione, il lavoro femminile, il ruolo dei sindacati, l’importanza dello sciopero e infine i grandi temi della spiritualità cristiana.Non erano giorni facili, quelli: Sadat veniva assassinato al Cairo durante una parata, la Grecia si spostava a sinistra con Papandreu, Breznev discuteva a Bonn di euromissili, la Polonia fiutava l’arrivo della legge marziale del generale Jaruzelski (coprifuoco, arresti, censure, divieto di sciopero, carri armati,morti e feriti, spari a Danzica e a Cracovia) . Stava arrivando il 1982, l’anno della crisi economica mondiale. Avevamo, solo in Italia, 2 milioni di disoccupati (quasi il 10% della forza lavoro) ma già erano arrivati 400mila immigrati, perlopiù dal Nord Africa. Il clima in casa nostra era teso: il ministro delle finanze Rino Formica (socialista) litigava col ministro del tesoro Beniamino Andreatta (democristiano). Anche allora volavano gli stracci e gli insulti.
Ora questo trentesimo anniversario (in sordina) della Laborem Exercens ci offre l’occasione per tornare a riflettere su un tema vitale negli anni ’70 e ’80 eppoi messo in ombra dagli sviluppi della globalizzazione e dai dogmi della flessibilità. E’ vero: se ne parla di meno ma l’importanza del tema resta. Centrale. E da qualche parte (in Lombardia, in Emilia) uomini di buona volontà lo stanno, in questi giorni, riprendendo. La domanda di fondo è semplice: il lavoro nobilita ancora l’uomo? La Repubblica italiana è ancora fondata sul lavoro? Le azioni dell’uomo, si legge nella Laborem “devono servire tutte alla realizzazione della sua umanità, al compimento della vocazione a essere persona”. Infatti “mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo (…) diventa più uomo”. Il lavoro è fatica e sacrificio (lo sapeva bene Wojtyla che nel 1940 aveva fatto l’operaio in una cava di pietra!) ma è anche “qualcosa di positivo e creativo, educativo e meritorio”. Chi ha letto l’ultimo Rapporto della Caritas (“sono in forte aumento la povertà e la disoccupazione giovanile”; “ il 20% dei nuovi poveri sono giovani under 35”) non può non allarmarsi. L’Italia deve ripartire da questo valore. L’assenteismo sociale non è più ammesso. Parliamone prima che si faccia notte.
Enrico Pirondini