Cronaca

Tamoil, le arringhe 'Contaminazione antica, livelli non in aumento'

L'avvocato Carlo Melzi d'Eril

Quattro 4 ore è durata l’arringa dell’avvocato Carlo Melzi d’Eril, uno dei difensori del procedimento principale della Tamoil. Il legale si è concentrato in modo particolare su alcuni punti chiave, come ad esempio la complessità della contaminazione. Per la difesa non c’è alcun giudizio di certezza sui tempi, se non per il fatto che si tratta di una contaminazione di origini antichissime, i cui livelli, tra il 2001 e il 2007, non sono aumentati. Addirittura, dal 2007 in avanti,  con l’attivazione della barriera idraulica, l’inquinamento si è progressivamente ridotto. Prima del 2004 Tamoil non aveva alcuna conoscenza, né segnali di allarme del fatto che le fogne avessero delle criticità. Quando questa circostanza è emersa è stato avviato un lungo percorso di analisi e ristrutturazione di tutte le linee fognarie della raffineria, un percorso durato anni e che è stato fatto al meglio di ciò che si poteva fare.

Nel processo davanti al giudice Guido Salvini, sono cinque i manager della raffineria che devono rispondere delle accuse di avvelenamento delle acque e omessa bonifica. Per loro il pm Fabio Saponara ha già chiesto condanne che vanno da un minimo di 6 anni e 8 mesi ad un massimo di 13 anni, pene già ridotte di un terzo per il rito abbreviato, mentre le parti civili, solo come provvisionale, hanno chiesto 1.660.000 euro di risarcimento danni.

Per la procura, gli imputati non avrebbero adottato idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza per bloccare lo sversamento al suolo di sostanze inquinanti penetrate nel terreno attraverso “forme abituali di gestione illecita di rifiuti, incidenti, perdite dai serbatoi e dalla rete di raccolta delle acque”. Nel capo di imputazione si contesta la mancata attivazione al fine di “accertare l’effettiva esistenza del cosiddetto taglione lungo l’argine maestro del fiume Po che avrebbe dovuto impedire la migrazione delle sostanze inquinanti, attraverso la falda, oltre i confini della raffineria”, accettando in questo modo “il rischio di avvelenare le acque della falda superficiale, intermedia e profonda, aumentandone il grado di contaminazione da idrocarburi e metalli pesanti anche nelle aree circostanti al di fuori del perimetro della raffineria. In particolare, nelle comunicazioni inoltrate alla Regione Lombardia, alla Provincia e al Comune di Cremona nel marzo del 2001 per la Tamoil Petroli e per la Tamoil Raffinazione, gli imputati dichiaravano che non sussistevano i presupposti per interventi di messa in sicurezza di emergenza, quando invece il sito della raffineria si presentava già pesantemente inquinato quanto alle acque di falda e al suolo”.
“Le aziende sceglievano di non dare sollecito corso né alle specifiche richieste del Comune di Cremona, con cui si chiedeva la verifica dell’inquinamento anche delle aree esterne alla raffineria e di accertare la sussistenza della barriera naturale dell’argine maestro del fiume Po, né a quelle di Arpa, che richiedeva dettagliata indicazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza con conseguente grave e consapevole ritardo nell’adozione di soluzioni tecniche atte a limitare e a contenere l’avvelenamento delle acque e l’inquinamento del suolo entro i confini della raffineria. Solo nella prima decade del luglio del 2007 veniva messa in funzione la prima pompa stimme della barriera idraulica che consentiva di emungere dalla falda il prodotto surnatante (al 27 febbraio del 2009 ben 690 mc) e contenere un’ulteriore espansione dell’inquinamento della falda sottostante l’area golenale al di fuori del sito Tamoil, specialmente nell’area sud ovest, esterna alla raffineria, denominata alveo ex Riglio, gravemente contaminata: il suolo fino a 10 metri di profondità si presentava fortemente inquinato per presenza di idrocarburi, benzene e piombo; le acque della falda superficiale ed intermedia risultavano non conformi ai parametri e concentrazioni di legge per contaminazione da idrocarburi totali, BTEX (benzene, toulene, etilbenzene e xilene), MTBE, ferro, vanadio, cadmio, piombo tetraetile, manganese, composti organici alogenati. In particolare, a seguito dei prelievi del 13 luglio del 2007, si accertava che presso le canottieri Bissolati, Flora, Cral Tamoil, Dopolavoro Ferroviario e Baldesio le acque destinate al consumo e all’utilizzo umano, pozzi dai 40 ai 140 metri, piscine e acqua del rubinetto della cucina presentavano parametri difformi quanto alla presenza di idrocarburi totali e metalli pesanti. Inoltre alla Bissolati il pozzo di 41 metri presentava una notevole concentrazione di benzene, sostanza altamente tossica per la salute umana”.

L’udienza è stata aggiornata al prossimo 3 luglio, quando l’avvocato della difesa Simone Lonati tratterà il tema dell’avvelenamento e del dolo. Dopodichè ogni avvocato difensore affronterà le singole posizioni dei cinque imputati.

Il 9 luglio sono previste le repliche delle parti, poi il giudice fisserà la data della sentenza.

Sara Pizzorni

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