Maltrattamenti alla ex, imputato assolto. Difesa: 'Nessun segno sul corpo'
Non ha maltrattato la sua ex convivente, né ha messo in atto “atti violenti ed ossessivi”. Giovanni, 35enne cremonese, è stato assolto dal giudice Francesco Sora “perché il fatto non sussiste”. Revocata la misura del divieto di avvicinamento.
L’imputato, difeso dall’avvocato Ugo Carminati, era accusato di aver controllato ossessivamente gli spostamenti della sua ex compagna, il telefono cellulare, la presenza sul luogo di lavoro, gli amici, impedendole di uscire di casa senza la sua compagnia, imponendole rapporti sessuali non protetti e minacciandola di morte. Non solo: la presunta vittima, 37 anni, anche lei cremonese, aveva anche raccontato che l’uomo, con alle spalle precedenti penali, aveva alzato le mani su di lei. Assolto. “Il racconto della donna”, ha detto l’avvocato Carminati, “non è stato confermato dai testimoni chiamati dalla procura”. “Da quanto aveva dichiarato la presunta vittima”, ha proseguito il legale della difesa, “sembrava che fosse segregata in casa e impossibilitata a fare qualsiasi cosa. Invece si è scoperto che usciva per andare al lavoro, che aveva il cellulare e che aveva vita sociale. Lei, tra l’altro, aveva mandato via di casa il mio cliente più volte facendogli i bagagli. Dove sta la sudditanza psicologica?”. “Il mio assistito”, ha concluso Carminati, “è un uomo di quasi 1 metro e 90 per 120 chili, tutto palestrato e dal fisico scultoreo. Lei, invece, è alta 1 e 60 e pesa 57 chili. Se davvero l’avesse picchiata una decina di volte, strattonandola e mettendole le mani al collo, la donna avrebbe dovuto avere gravissime conseguenze fisiche. Come mai, invece, in un anno e mezzo, nessuno ha visto dei segni sul suo corpo?”.
Nel processo, la presunta vittima non si è costituita parte civile.
La coppia aveva convissuto dal gennaio del 2015 al maggio del 2016 con fasi alterne, dopodichè lei, dopo la fine della relazione, lo aveva denunciato. Con il periodo della convivenza, come raccontato la presunta vittima in sede di denuncia, “ebbe inizio un vero e proprio calvario”. Per l’accusa, Giovanni avrebbe preteso di conoscere ogni suo singolo spostamento, chiedendo il resoconto delle persone che lei incontrava durante il giorno, anche solo per un saluto. Un’eventuale trasgressione avrebbe comportato “continue minacce” verso di lei o verso chiunque l’avesse avvicinata. Minacce “di tipo fisico e psicologico”: che l’avrebbe “picchiata fino alla morte, concludendo con la solita frase: ‘se mi lasci, prima ti uccido e poi mi uccido’”. L’imputato avrebbe anche preteso che la convivente si trovasse un lavoro in zona in modo tale che potesse controllare se fosse realmente al lavoro e non da un’altra parte.
“Oltre a seguire le sue regole”, ha dichiarato la donna in denuncia, “non potevo uscire senza che lui fosse con me, non potevo ricevere chiamate senza che lui non avesse prima controllato il telefono e l’interlocutore, dovevo eseguire tutti i suoi ordini come fossi un soldatino. Mi obbligava, mediante minaccia di violentarmi e di picchiarmi, ad acconsentire a rapporti sessuali non protetti”. Più volte la donna avrebbe tentato di lasciarlo, ma lui “trascorreva notti intere a suonare il campanello dell’abitazione”, fino a quando lei, esasperata, non gli apriva. Se non lo avesse fatto, lui avrebbe scavalcato la recinzione condominiale e poi forzato le ante della finestra adiacente la porta d’ingresso, come già fatto altre volte. La donna ha detto di vivere “costantemente terrorizzata” dalla paura che Giovanni, in preda alla gelosia, possa farle del male fino a provocarne la morte.
Racconti, per la difesa, non attendibili e non confermati dai testi a processo. Una tesi, quella dell’avvocato Carminati, che il giudice Sora ha accolto.
Sara Pizzorni