I Cattolici in politica a chi devono guardare? La domanda di don Franzini destinata a far discutere
Don Alberto Franzini, oggi parroco a Cremona in Cattedrale ma per 17 anni parroco del Duomo di Casalmaggiore, ha pubblicato un proprio intervento su Avvenire di venerdì scorso, peraltro in seconda pagina. La sua lettera affronta soprattutto la difficoltà del mondo cattolico a ritrovarsi in qualsivoglia partito.
Interviene al solito con le idee chiare e lo fa con uno scritto destinato a fare discutere, come già più volte avvenuto in passato. Parliamo di don Alberto Franzini, oggi parroco a Cremona in Cattedrale ma per 17 anni parroco del Duomo di Casalmaggiore, che ha pubblicato un proprio intervento su Avvenire di venerdì scorso, peraltro in seconda pagina. La sua lettera affronta soprattutto la difficoltà del mondo cattolico a ritrovarsi in qualsivoglia partito dopo gli eventi degli ultimi anni. Riportiamo l’intervento di don Alberto Franzini per intero.
“Gli interventi del Vescovo Gastone Simoni, apparsi su Avvenire dell’8 e 9 settembre u.s, non devono rimanere isolati: perché affrontano, con chiarezza e con coraggio, un tema che non può lasciare indifferente né il “popolo dei cattolici”, né la società italiana. Da parroco, che vive da decenni in mezzo alla gente più che essere un frequentatore di convegni, avverto sempre più il disagio e la domanda di fondo di non pochi cattolici: nelle elezioni politiche, a cui saremo chiamati fra non molti mesi, quale “casa politica” abitare? Perché questa è la questione, che in parte può spiegare la ormai consistente disaffezione di non pochi italiani agli appuntamenti elettorali, come anche il formarsi di una mentalità antipolitica che non può far bene a nessuno. Tanti cattolici non si riconoscono più in nessuna formazione politico-partitica dell’attuale stagione. E il continuo frazionamento di formazioni partitiche, anziché offrire una maggiore opportunità nelle scelte, non fa che aumentare lo sconcerto e il disagio: di tanti italiani, cattolici compresi, che non riescono più nemmeno a comprendere le ragioni di fondo di tale frazionamento. E così si alimenta il sospetto che si tratti solo di spartizioni di potere, di interessi e di poltrone.
E dunque il movimento cattolico, che in Italia ha prodotto tante esperienze (dall’Opera dei Congressi negli ultimi decenni dell’Ottocento, al Partito Popolare di don Sturzo, alla Democrazia Cristiana del dopoguerra), oggi quale tipo di presenza offre nella società italiana? Certo, una serie encomiabile di aggregazioni sociali e caritative e anche un notevole patrimonio di idee e di pensiero (vedi ad es. le Settimane Sociali, riprese nel 1991 dopo un letargo ventennale). Ma tutto questo non basta. Come non bastano più gli interventi di spessore provenienti dalla Cattedra di Pietro, dal magistero dei nostri Vescovi, dallo stesso Concilio Vaticano II sull’inderogabile impegno dei laici cattolici nella vita sociale.
Lo stesso poderoso patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, ricco di ispirazioni evangeliche, ma anche frutto di un umanesimo radicato in un’antropologia “naturale” e quindi proposto con una destinazione universale, rischia il congelamento in una specie di limbo che non trova sentieri concreti di attuazione. Il rapporto fra Dio e Cesare, fra la fede e la politica, fra la Città di Dio e la Città dell’uomo è sempre stato problematico e nei secoli ha trovato attuazioni e soluzioni molto diverse, e non potrà mai essere rinchiuso in un assetto definitivo e pienamente soddisfacente. La tensione è nella natura delle cose. Da una parte la Chiesa non si identifica e non potrà mai identificarsi con nessun partito politico, perché la Chiesa è chiamata ad una missione “altra” nella storia. Lo disse chiaramente fin dal 1995 al Convegno di Palermo Giovanni Paolo II. Dall’altra parte, il magistero della Chiesa ha sempre esortato i cattolici all’impegno nella vita pubblica: da Paolo VI, che coniò la celebre espressione: “la politica è una delle forme più alte della carità”, a Papa Francesco che, parlando alla Lega Studenti d’Italia, il 30 aprile 2015, disse: “Ma il cristiano può fare politica? – Deve!”; “Un cattolico può immischiarsi in politica? – Deve!”. E in quell’occasione Francesco parlava anche della grande politica, citando De Gasperi e Schumann. Ecco la tensione! Ben espressa da Paolo VI nella Octogesima adveniens(1971) e nella Evangelii nuntiandi (1975).
Oggi però si sente il bisogno di “qualcosa di nuovo”, come auspica mons. Simoni. Ossia: si avverte il bisogno di una ripresa di presenza dei laici cattolici nella vita pubblica, non solo nella “piccola” politica della vita quotidiana, nell’associazionismo e nel volontariato, ma anche nella “grande” politica, che lambisca le istituzioni e le sedi decisionali più alte. Questo è compito dei laici cattolici, non della gerarchia della Chiesa. Diversamente, la presenza del pensiero e dell’agire dei cristiani nella vita pubblica è condannata alla irrilevanza o confinata nella intimità della coscienza e nella testimonianza dei singoli o circoscritta all’attività benefica e caritativa, spesso “delegata” alla comunità cristiana perché non si arroghi altre forme di presenza.
Ai laici cattolici, alla loro autonoma responsabilità spetta il coraggio e la fantasia di trovare “qualcosa di nuovo” nella attuale stagione, per uscire dallo stallo in cui si trova il movimento cattolico. Ne ha un immenso bisogno la società italiana. E la stessa classe politica e amministrativa si trova orfana di una presenza significativa. Senza dimenticare che in Germania, in Spagna e nello stesso Parlamento dell’Unione Europea esistono tuttora formazioni politiche la cui storia affonda nelle radici di quell’umanesimo cristiano che ha contribuito allo sviluppo e alla pace del Continente europeo”.