"Il servizio ferroviario: ormai
solo un grido di dolore"
Martedì scorso, dopo quasi otto mesi di lontananza forzata, sono tornato a Milano. Essere protetto – si fa per dire – dalla seconda dose del vaccino, non mi ha levato il principale motivo di ansia, ovvero il pensiero di intraprendere un viaggio in treno da Piadena, sulla linea Mantova-Milano, una tratta che frequento da circa quarant’anni.
Purtroppo i miei timori si sono subito rivelati fondati: il treno delle 7.12, quello che di norma prendono gli studenti e gran parte dei pendolari, era già alla prima occhiata inguardabile: un treno a due livelli, fuori da ogni norma di sicurezza e di igiene, con porte di vetro a molla che separano il livello superiore e che ti si sbattono in faccia, se quello prima di te non ha l’accortezza di frenarli. Per tacere delle micro-toilette che al confronto le “ritirate” dei vecchi treni dai sedili di legno, erano da Hotel a cinque stelle: questi invece erano vecchi e lerci di un sudiciume che non dipende certo da passeggeri maleducati, ma da accumuli di sporco pluridecennali. Benché io sia stato super accorto a non toccare nulla a mani nude, a un certo punto la mia gamba è stata colpita dallo sportello del sottolavabo (apertosi improvvisamente a scatto) che solo a guardarlo uno si ammala subito – e non solo di Covid 19! Figuriamoci allora i filtri degli impianti se li avranno mai cambiati, tanto nessuno potrà mai dimostrare il rapporto di causa-effetto sulle malattie respiratorie dei passeggeri.
Apro qui una parentesi sui diretti discendenti di questo treno da quarto mondo, ovvero i Vivalto, chiamati eufemisticamente treni ad alta frequentazione, che, in confronto a questo su cui sono salito, quasi viene da rimpiangere: ne ricordo l’inaugurazione fra pasticcini e spumante e un codazzo di uomini politici, eppure c’era ben poco da festeggiare perché erano già obsoleti da nuovi, male progettati da ogni punto di vista, sempre guasti, come sanno bene quelli che, come me, prendevano il treno tutti i giorni, con non rari rischi d’incendio a causa dei freni. Non si è pensato minimamente all’abbattimento delle barriere (anzi, qui particolarmente accentuate), alla salubrità se l’impianto di climatizzazione ti spara l’aria sul collo, né al confort e al distanziamento (!), che dico, allo spazio vitale, se lo spazio ridotto fra i sedili obbliga i passeggeri a incrociare le gambe – spazio quasi assente poi per eventuali bagagli -, e, quanto a ergonomia, gli schienali ti lasciano il segno di patologie varie alla schiena perché un conto è utilizzarli per brevi tratte nell’hinterland milanese, un altro è viaggiarci per un’ora e mezza o due (da raddoppiare, col ritorno), per tacere dei ritardi sempre all’ordine del giorno. Vogliamo poi parlare della sicurezza nello stare seduti? Gli schienali sono talmente ridotti che, se si sta dalla parte del corridoio, si rischia come minimo la gomitata in testa del passeggero che attraversa il vagone e qualche volta di essere sfigurati in volto, se qualche asino porta il suo borsone a tracolla, come stava per accadermi una mattina, se non avessi avuto la prontezza di scansarlo. Sono poi perfetti per essere scippati da mano lesta che s’infila da dietro nell’ampio (non si sa perché) interstizio fra i due sedili, come mi è accaduto circa dieci anni fa, perdendoci una nuova Nikon digitale e due libri a cui tenevo molto, scena svoltasi fra altri viaggiatori esterrefatti non tanto per l’abilità dello scippatore, fuggito velocemente giù dal treno, ma per l’inettitudine del controllore lì presente. Ho capito allora che in certi orari, per esempio di primo pomeriggio, era meglio non prendere il treno.
Come si è viaggiato in tutti questi anni? Male, anzi malissimo. Ma a Milano bisognava pur andare per studio o lavoro, o anche solo per vedere una bella mostra. Ognuno adottava i propri accorgimenti, scegliendo i sedili meno esposti, mettendo strisce di nastro adesivo sui bocchettoni dell’aria per non averla sul collo o usando sciarpette anche d’estate. Ma se uno ha passato i sessant’anni e ha qualche patologia al ginocchio o una valigia al seguito, questo treno non può certo prenderlo, soprattutto nelle stazioni secondarie, dovendo superare, per salirvi, un dislivello troppo alto. E vogliamo parlare delle chiusure automatiche delle porte? Hanno sempre funzionato malissimo. Ricordo e con me c’erano altri testimoni, quando una mamma con carrozzina al seguito, scendendo a Piadena, ha dovuto lottare aiutata da altri passeggeri, con le porte chiuse proprio sulla carrozzina, mentre il treno era prossimo a partire. Si è sfiorata allora una tragedia, altre invece le abbiamo apprese dai giornali. Ma si sa che questo non è un paese per vecchi, né per mamme con bambini. Vogliamo parlare allora dei giovani o comunque degli abili? Centinaia di lavoratori pendolari, sicuramente migliaia in tutta la Lombardia, hanno smesso di utilizzare il treno, preferendo i rischi dell’auto e degli ingorghi milanesi, una scelta iniziata molto prima del Covid. Per quanto mi riguarda negli ultimi dieci anni ho dovuto cercare un alloggio a Milano, ma alla fine, pur amando molto il mio lavoro e trovandomi bene tanto coi miei studenti, quanto coi colleghi, ho scelto il pensionamento anticipato: non voglio morire in treno! Perché questo si rischia, e forse l’ho rischiato anche martedì scorso. Proprio allora l’sms di un amico, tra il serio e il faceto, mi avvisava di stare attento ai ladri che si fregano i binari dal momento che il ferro è cresciuto del 130%. Il giorno dopo da OglioPoNews apprendo dello scavo scoperto sotto il binario nella tratta interessata. Quali siano i responsabili, e non volendo qui entrare nella distinzione fra la manutenzione della linea e del materiale rotante, rilevo solo che, da quando questa rete è stata affidata a TRENORD c’è stato un progressivo peggioramento del servizio (ricordo il buffo inizio in cui si vedevano scorrazzare fra le vetture dei “mastro lindo” in tuta gialla indaffarati a lucidare qualche maniglione, ma è stato un lusso che è durato solo un paio di settimane) e una progressiva perdita di utenti. Viene dunque spontanea una domanda che si farebbe anche un bambino, ma che non sembrano porsi i nostri politici: quale azienda opera contro il proprio interesse e vi persevera ostinandosi a mantenere questo onere? Ma si tratta veramente di un onere per il gestore? E in base a quali criteri si continua ad affidare un servizio così importante a un gestore che si è rivelato nei fatti inaffidabile?
Non sono un complottista, ma il disservizio del mezzo pubblico di fatto spinge sempre più le persone a servirsi dell’auto privata: forse in questo modo anche il vuoto spinto della superstrada che già collega Cremona a Mantova (che a confronto l’Asolana, quanto a traffico, è come l’Autosole), potrà animarsi di qualche vettura in più e giustificare così agli occhi di politici miopi o corrotti l’improrogabile necessità di un tratto autostradale che è più assurdo, inutile e nefasto del ponte sullo stretto di Messina. Ma perché le verità che vede chiunque hanno così poco peso nelle decisioni?
Lasciamo intanto che gli ottimisti si accontentino della promessa di un raddoppio dei binari, da cui ci si attende di conseguenza un miglioramento del servizio ferroviario, ma sono troppo vecchio per non capire invece come andrà a finire. Nessuno vuole più morire su questi treni.