Cronaca

Assolto l'ex primario Mosca. Ipotesi
calunnia per i suoi due accusatori

Non fu il responsabile delle morti di quei tre pazienti malati di Covid. Carlo Mosca, 49 anni, originario di Persico Dosimo, ex primario del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari, è stato assolto “perchè il fatto non sussiste” dalla Corte d’Assise di Brescia dall’accusa di omicidio volontario plurimo per aver iniettato ai tre degenti Succinilcolina e Propofol, farmaci incompatibili in assenza di intubazione, e letali in quanto inducono il blocco dei muscoli e l’arresto respiratorio. L’imputato, ai domiciliari dal 25 gennaio del 2021, da stasera è un uomo libero. “Ora”, ha commentato il medico subito dopo la sentenza, “non vedo l’ora di riabbracciare i miei cari e di tornare al mio posto di lavoro”.

La Corte, composta dal presidente Roberto Spanò, dal giudice a latere Carlo Ernesto Macca e da sei giudici popolari, ha anche disposto, per i due infermieri che hanno accusato Mosca, la trasmissione degli atti alla procura con l’ipotesi di reato di calunnia.

Mosca al telefono con il padre mentre gli annuncia che è stato assolto

Per Mosca, il pm Federica Ceschi aveva chiesto la condanna a 24 anni di reclusione per i decessi di Natale Bassi, 61 anni, di Ghedi, e di Angelo Paletti, 79 anni, di Calvisano, mentre l’assoluzione per la morte di Ernesto Nicolosi, 87enne di Carpenedolo. 

Nelle sette udienze del procedimento, accusa e difesa si sono date battaglia sui decessi dei tre pazienti, morti, per la difesa, rappresentata dagli avvocati Elena Frigo e Michele Bontempi, per “cause naturali” dovute alla concomitanza tra il Covid e le loro malattie pregresse, mentre per l’accusa stroncati dalla somministrazione dei farmaci letali da parte dell’imputato. Due fiale di Succinilcolina e una fiala di Propofol erano state trovate nel cestino del vetro del reparto, ma nessuno dei testimoni chiamati a deporre in aula ha detto di aver mai visto Mosca somministrare quei farmaci. Farmaci, che, come era stato riferito in aula da una delle infermiere, erano custoditi nel frigorifero e ai quali tutti potevano accedere.

Lo stesso Mosca aveva ammesso di aver chiesto una volta la Succinilcolina per Natale Bassi. “Pensavo di intubare il paziente”, aveva spiegato l’imputato, “perchè pensavo fosse appena arrivato. Quando invece ho saputo che era lì dalla notte precedente e che non rispondeva alle cure, ho sospeso la procedura e quel farmaco non mi è mai stato portato”.

In nessuno dei tre pazienti era stata trovata Succinilcolina, mentre tracce di Propofol erano state trovate in vari organi del solo Paletti. Per i consulenti della difesa, mancava la prova della somministrazione della Succinilcolina, mentre per il Propofol era stata avanzata l’ipotesi di una somministrazione post mortem, in quanto nel cervello del paziente erano state trovate tracce infinitesimali del farmaco. Per la difesa, se fosse stato somministrato in vita, la quantità avrebbe dovuto essere molto maggiore. Diverso il parere degli esperti del pm, secondo i quali la concentrazione di Propofol trovata nel paziente Paletti, corrispondente ad un’intera fiala, era invece compatibile con una somministrazione effettuata nell’immediatezza della morte. “Mentre la Succinilcolina non è rintracciabile in quanto gli enzimi del corpo la disperdono. Dunque non è possibile sapere se fosse stata somministrata”.

Circa il nesso causale tra la somministrazione di quei due farmaci e la morte, per i consulenti della difesa non c’è, in quanto “si trattava di tre pazienti molto gravi, tutti con più fattori di rischio, e tutti con prognosi infausta a breve termine e che non potevano essere sottoposti a trattamenti intensivi. In molti pazienti con queste caratteristiche, il Covid ha causato un arresto cardiaco, non respiratorio”. Non così per gli esperti dell’accusa: il Propofol avrebbe invece potuto essere certamente causa della morte, in quanto “il suo effetto, in un paziente come Paletti con quell’insufficienza respiratoria, è quello di provocare ostruzione delle vie respiratorie”.

Secondo l’imputato, qualcun altro avrebbe potuto somministrare il Propofol a Paletti. “Io non sono stato”, si è sempre difeso. “Non aveva senso farlo, quel paziente non doveva essere intubato. Volevano farmi del male, mi hanno fatto una cattiveria, chiunque poteva utilizzarlo, qualcuno a cui non stavo simpatico”. “Io”, aveva spiegato Mosca durante il processo, “ho sempre agito per il bene dei pazienti e ho sempre agito con la stessa metodica. Non sono un soggetto ansioso, in quei giorni prevaleva l’adrenalina, la voglia di dare forza al mio gruppo. Abbiamo dovuto fronteggiare più di 400 ricoveri e nel solo mese di marzo ci sono stati 194 decessi. Ma con tutti i pazienti è stato fatto il necessario per cercare di salvarli. Le scelte dolorose su chi intubare  o meno erano determinate dall’età, dalle malattie concomitanti, dal tipo di difficoltà respiratorie. Nessuno è mai stato abbandonato al suo destino”.

Sul caso del paziente Natale Bassi, ci si era chiesti come mai ad un certo punto Mosca, come riferito in aula dai testimoni, aveva fatto uscire tutti dalla stanza. Per l’accusa, lo avrebbe fatto per somministrare i farmaci letali al paziente, mentre per la difesa, il medico, dopo aver pronato il paziente avrebbe usato una maschera per l’ossigenazione con una forte dispersione. L’imputato era l’unico ad indossare la mascherina Ffp3 e avrebbe fatto uscire tutti per evitare il rischio che il personale si contagiasse.

E infine la tanto discussa intercettazione ambientale registrata il 2 luglio del 2020 nell’area fumatori dell’ospedale di Montichiari nella quale si sentirebbe l’ex primario rispondere “Eh sì” ad una domanda del collega che gli aveva chiesto se davvero avesse iniettato Succinilcolina e Propofol ai pazienti. Una testimonianza “chiave”, per il pm, quella del giovane medico Riccardo Battilana, a cui Mosca, secondo l’accusa, avrebbe “confessato” di aver somministrato quei farmaci. Un’affermazione che invece, a detta della difesa, era stata pronunciata in un contesto più ampio di una conversazione su pazienti da intubare. “E’ inverosimile”, ha inoltre sostenuti l’avvocato Bontempi, “che il dottor Mosca si fosse confessato con il giovane dottore, l’ultimo arrivato. Non sta né in cielo né in terra”.

A denunciare il primario, il 23 aprile del 2020, era stato l’infermiere Michele Rigo, che il 18 marzo aveva risposto ad una telefonata dell’imputato che gli avrebbe chiesto di somministrare ad un paziente due fiale di Succinilcolina. “Sono rimasto stupito”, aveva raccontato l’infermiere, “perchè questo paziente non doveva essere intubato”. “Con Rigo non si è mai parlato di Succinilcolina”, aveva chiarito Mosca. “Io avevo dato delle disposizioni per somministrare morfina”.

Di quella telefonata con Mosca, Rigo aveva parlato con alcuni colleghi, tra cui Massimo Bonettini, e da lì era partito un tam tam di messaggi e telefonate ed era partita “l’indagine interna” dei due infermieri che aveva poi inguaiato l’allora primario.

Per una delle testimoni sentite a processo, l’infermiera Silvia Fenocchio, solo “un gossip ospedaliero, di quelli che dal niente diventano una montagna”.

Come spiegare, allora, quelle due fiale di Succinilcolina e una di Propofol trovate nel cestino del vetro del reparto?. La foto era stata scattata dall’infermiere Bonettini. In aula, Mosca aveva  avanzato il dubbio che quelle fiale fossero state posizionate lì apposta. “La foto è della mattina del 23 aprile”, aveva ricordato l’imputato. “La notte precedente era morto il paziente Paletti, giorno in cui Bonettini aveva firmato il controllo dei farmaci nel frigo”.

La motivazione della sentenza di assoluzione sarà depositata entro 90 giorni. 

Sara Pizzorni

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