Cronaca

Rivolta in carcere: chieste undici
condanne e quattro assoluzioni

Aveva avuto eco nazionale, l’8 marzo del 2020, in piena pandemia, la rivolta scoppiata nel carcere di via Cà del Ferro a Cremona a causa della mancanza dei tamponi e dei colloqui che da lì a poco sarebbero stati vietati all’interno della struttura per evitare contagi. Quella domenica, alle 8 di sera, erano intervenuti una quarantina di carabinieri in tenuta antisommossa e i vigili del fuoco. Bilancio: danni ingenti e agenti feriti e intossicati. Una protesta che all’epoca aveva interessato gli istituti penitenziari di tutta Italia.

Per l’episodio accaduto in alcune sezioni del penitenziario cremonese, 15 detenuti, per la maggior parte stranieri, sono finiti a processo con le accuse di radunata sediziosa, violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Per cinque di loro, il pm ha chiesto la condanna a due anni, per altri sei una pena di un anno e sei mesi, mentre per quattro detenuti è stata chiesta l’assoluzione.

Nei loro interventi, gli avvocati della difesa hanno posto l’accento sul quel particolare periodo storico determinato dalla pandemia. “Girava voce che in carcere qualcuno si era ammalato e i detenuti hanno avuto paura per le loro vite. Erano convinti di essere in pericolo. Hanno quindi manifestato un proprio disagio e hanno messo in atto un comportamento proporzionato al rischio che stavano correndo“. Per i difensori, “fare loro il tampone avrebbe contribuito a tranquillizzarli. Non c’è stato, poi, pericolo per l’ordine pubblico, e si è trattato di una resistenza passiva“.

Il pm onorario Silvia Manfredi

Durante la protesta, alcuni detenuti avevano inveito contro gli agenti, cercando, con tono di sfida, lo scontro fisico ed incitando anche gli altri carcerati ad aggredire i poliziotti della penitenziaria. Quella sera erano stati incendiati sgabelli in legno, coperte, sedie di plastica, e altri oggetti. Due agenti erano rimasti intossicati, mentre un altro, colpito da un pugno, era rimasto ferito. Alcuni detenuti si erano anche impossessati di tutti gli idranti di uno dei piani, facendo defluire una notevole quantità di acqua, e avevano distrutto, utilizzando spranghe in ferro ricavate dalla rottura delle finestre, i vetri del box in uso agli agenti.

Nel frattempo altri rivoltosi avevano impedito l’accesso alla sezione al personale di polizia, e uno, in particolare, si era impossessato di un idrante con cui aveva allagato il piano e diretto il getto d’acqua contro gli agenti. Alcuni carcerati si erano anche opposti violentemente alla chiusura del cancello del cortile, schiacciando i poliziotti tra le pareti e i cancelli di sbarramento. Uno dei detenuti, approfittando della confusione, aveva sfilato ad un agente il manganello in dotazione. L’arma era stata passata ad un altro carcerato che però era stato subito bloccato e disarmato.

Il prossimo 19 marzo si concluderanno le arringhe delle difese e il giudice emetterà la sentenza.

Sara Pizzorni

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