Baby gang, la criminologa Petrassi:
"Serve insegnare l'empatia"

Il fenomeno delle baby gang spaventa i cremonesi: a spiegarne le dinamiche e ad indicare come sia possibile arginarlo è stata la psicologa e criminologa Susanna Petrassi, docente universitaria, invitata da Antonino di Mora presidente dell’Unione nazionale ufficiali in congedo, sezione di Cremona per una conferenza tenuta ieri a SpazioComune.
“Il fenomeno – ha spiegato Petrassi – sta allarmando molto anche perché Cremona è una città piccola e tranquilla. Una città che ho visitato ieri sera, e che proprio non mi ha dato l’impressione che col passare delle ore si sarebbero scatenati dei tumulti contro l’ordine sociale.
“il fenomeno baby gang appartiene a tutta l’Italia, rappresenta l’evoluzione dal bullismo, un’evoluzione in negativo, purtroppo. Mentre il bullismo ha delle rivendicazioni esogene nella scuola, per esempio, contro gli stessi coetanei, nelle baby gang ci si rivolge spesso contro coetanei che non si conoscono e che vengono rapinati o accoltellati. Oggi tutti i ragazzi portano il coltellino, ma l’80-90% di loro lo porta attaccato al portachiavi, non va in giro con un coltello in grado di ferire veramente. Questo è un fenomeno preoccupante e moderno”.
Di cosa hanno paura questi ragazzi, o meglio, hanno bisogno di emergere in qualche modo, anche in negativo, è un bisogno di protagonismo, di attenzione?
“Allora, fino a poco tempo fa gli studiosi intravedevano sia nei bulli che in questi ragazzi delle gang, una sorta di insicurezza, poi più di recente si è notato che sono invece sicuri si sé, quindi la loro prepotenza, la loro tracotanza sfocia nel pensare di essere impuniti, di rimanere impuniti”.
“E poi questi gruppi si sciolgono, cambiano i leader, cambiano i gregari e prendono anche dei ragazzini molto piccoli al loro interno, quasi bambini. Nel momento dell’arrivo delle forze dell’ordine, questi si sguinzagliano da tutte le parti, ed è molto difficile correre appresso a uno o all’altro. Magari ad essere acciuffato è proprio il più piccolo, mentre il vero responsabile può sfuggire.
Il branco poi consente l’anonimato, dà l’impunità, dà il senso del disimpegno della coscienza, perché ‘eravamo tutti, lo fanno tutti, sono ragazzate’. Purtroppo bisognerebbe anche educare i genitori”.
E allora: cosa si può fare, cosa deve fare la società? “Ognuno di noi ha le sue ricette miracolose, io credo che tutti abbiamo un po’ ragione, io posso dire il mio punto di vista. Finché questi ragazzi sono piccoli, molto piccoli, elementari, medie, si possono dare loro stimoli facendoli lavorare in gruppo, per esempio con il teatro, o dando loro dei compiti che stimolano l’empatia, il mettersi nei panni degli altri, ma questo fino a una certa età. Quando sono un po’ più grandi – e non intendo 25 anni, intendo già 16 anni, 17 anni – credo che la repressione in quel caso forse sia doverosa”.
La presenza dell’esercito nelle zone più “calde”, in presidi fissi sarebbe auspicabile e necessaria, afferma Di Mora, “avviene già in tante città d’Italia e la gente alla fine si sente più sicura. Penso poi che sia ormai indispensabile che la legge venga modificata per abbassare l’età in cui si perde l’impunibilità”.
Giuliana Biagi