"Malato di gioco e geloso":
tre anni all'ex compagno violento
Prima si erano frequentati come amici, ma poi nel 2020 si erano innamorati ed erano andati a convivere. Lavoravano anche insieme in quanto erano dipendenti della stessa ditta. Un anno da dimenticare, il 2021, per una 37enne, picchiata e costantemente controllata dal suo ex compagno, un 39enne finito a processo per maltrattamenti e oggi condannato ad una pena di tre anni e al risarcimento dei danni con una provvisionale di 5.000 euro.
Per l’imputato, il pm onorario aveva chiesto due anni. Nel procedimento, Mario (nome di fantasia) era assistito dall’avvocato Giorgio Lazar, mentre Elena (nome di fantasia) era parte civile attraverso l’avvocato Mimma Aiello.
“Nessuna prova contro il mio assistito“, ha detto il legale della difesa nella sua arringa. “Nessuno ha assistito alle presunte violenze sulla donna, e i lividi non sono collegabili all’imputato. “Nessuna prova. Tutto si riduce a credere a lei, che era esacerbata per il deteriorarsi del loro rapporto sentimentale. In questo caso il beneficio del dubbio è grosso come un iceberg“.

Il giudice, invece, ha ritenuto credibile la versione dei fatti della vittima, che in aula aveva raccontato che il suo ex era “malato di gioco e dipendente dalle macchinette“. “Avevamo il conto insieme. In due giorni si è giocato due stipendi“. In aula, la donna aveva parlato di un compagno geloso a tal punto che lei non poteva nemmeno parlare con amici o colleghi. “Mi controllava sempre il telefono, mi faceva continue videochiamate perchè voleva sapere dove fossi. Un giorno ho tardato perchè c’era la coda al supermercato e ho dovuto fargli vedere con la videochiamata che ero a fare la spesa”.
La donna aveva detto di aver sempre cercato di calmarlo per non avere problemi. “Lui poi mi chiedeva scusa, ma la cosa si ripeteva“. Un giorno la 37enne era rientrata dalla spesa e appena varcata la soglia di casa si era vista colpire con un ceffone. “All’improvviso, appena rientrata, mi ha dato uno schiaffo, mi ha tirato i capelli, voleva controllare il telefono, io l’ho ripreso e ho chiamato la mia amica chiedendole di avvertire i carabinieri”.

Per le botte, lei aveva riportato lividi sul volto e alla gola. “queste reazioni di gelosia erano diventate un’abitudine”, aveva raccontato Elena, “ma per quattro o cinque volte è andato oltre”. La vittima aveva riferito di episodi accaduti tra il gennaio e l’aprile del 2021, quando lui le aveva tirato i capelli, l’aveva minacciata di morte, le aveva spinto la testa contro il muro e le aveva intimato di ritirare la denuncia.
Querela che in realtà lei non aveva mai firmato. Esasperata, la donna si era presentata dai carabinieri ai quali aveva raccontato quello che le stava accadendo. Poi però con la scusa di uscire per prendere una boccata d’aria non era più rientrata in caserma per firmare l’atto. “Avevo paura di lui“, aveva detto Elena al giudice. Il reato, però, è procedibile d’ufficio, e quindi si è arrivati al processo e oggi alla sentenza di condanna.
Successivamente l’uomo aveva lasciato l’abitazione. “Per un certo periodo”, aveva dichiarato lei, “ha continuato comunque a venire sotto casa. Poi non l’ho più visto. Recentemente mi ha chiamato per chiedermi se era possibile ritirare le accuse, ma non dipende più da me”. Attualmente l’imputato, che per i maltrattamenti era stato allontanato dal lavoro, vive in un’altra città”.
Sara Pizzorni