Cronaca

Leo annegato in piscina
Omissioni: nove gli indagati

Per la procura, numerose sarebbero state le omissioni. Oltre trenta bimbi non sapevano nuotare

Sono nove, tra cui un minorenne, le persone indagate con l’ipotesi di accusa di omicidio colposo per la morte di Leonardo, il bimbo di 10 anni residente a Canneto sull’Oglio deceduto  il 20 giugno scorso all’ospedale di Bergamo per annegamento. Due giorni prima il piccolo, nato in Italia da genitori cinesi, aveva trascorso il pomeriggio nella piscina di Torre de’ Picenardi insieme ad altri coetanei del Grest parrocchiale di Canneto. Leonardo, che non sapeva nuotare, è morto annegato. Lo ha stabilito l’esame autoptico ordinato a suo tempo dalla procura nella persona del pm Andrea Figoni, che ha iscritto nove nomi nell’atto di conclusione delle indagini.

Ora, una volta ricevuto l’avviso di chiusura delle indagini, gli indagati potranno presentare memorie, produrre documenti e chiedere di essere sottoposti ad interrogatorio. Dopodiché per loro potrebbe profilarsi la richiesta di rinvio a giudizio. “All’esito delle memorie difensive e degli interrogatori”, ha sottolineato il procuratore Bonfigli, che ha coordinato l’inchiesta, “si potrà meglio inquadrare e circoscrivere la vicenda, complessa e drammatica. Certo, ci sono delle responsabilità che andranno divise”.

Indagati sono il parroco di Canneto sull’Oglio nel ruolo di promotore e responsabile del Grest, la sua collaboratrice e due dipendenti della Cooperativa di supporto al gruppo estivo in qualità di educatrici professionali ed accompagnatrici dei minori. Nella lista c’è anche una volontaria ed accompagnatrice del Grest, il legale rappresentante della società concessionaria della piscina e tre assistenti bagnanti e addetti alla vasca, di uno minorenne e per il quale procede la procura competente.

Il procuratore Bonfigli

In particolare, il responsabile del Grest e la sua collaboratrice “non avrebbero adottato misure idonee a tutelare i minori a loro affidati”. Pur sapendo che Leo non sapeva nuotare, “non avrebbero predisposto un adeguato servizio, omettendo di comunicare a tutti gli accompagnatori e al gestore della piscina i nomi dei bimbi che non sapevano nuotare, nonchè di impartire specifiche direttive per la tutela degli stessi, non prevedendo un numero di accompagnatori adeguato al numero dei minori, circa 140“, che avevano partecipato alla gita. Di questi, oltre 30 non sapevano nuotare.

La procura contesta invece alle due educatrici e all’accompagnatrice del gruppo di aver omesso “qualsiasi forma di controllo sul gruppo di minori”, non comunicando, nè ai responsabili della piscina, nè agli assistenti bagnanti, chi fosse capace di nuotare e chi no.

“Le responsabilità”, ha spiegato il pm Figoni, “vanno in più direzioni e riguardano la scelta organizzativa a monte”, riferendosi al fatto che “tanti bambini, oltre trenta, presenti nel gruppo, non sapevano nuotare”. “Non sono state fatte verifiche sulle capacita natatorie“, ha aggiunto il procuratore. “Non li stavano portando a fare una gita nella piazza del paese dove tutti sanno camminare. “Quando si va in piscina può essere abbastanza pericoloso, a maggior ragione quando si gestiscono situazioni così particolari. Poi quando accade la tragedia se ne pagano le conseguenze“.

“E’ vero”, hanno sottolineato procuratore e pm, “che era stato trasmesso un elenco di chi non sapeva nuotare, ma c’è stata superficialità e non è stata garantita la circolarità delle informazioni. Il sistema era delegato a cascata: all’interno di questo gruppo di minori c’erano dei minorenni più grandi che dovevano vigilare sui più piccoli, con sole due o tre persone adulte come punto di riferimento“. Tra l’altro”, come ha ricordato il pm Figoni, “è stato proprio uno dei minorenni più grandi a ripescare Leo dalla vasca“.

Il pm Figoni

E ancora, secondo procuratore e pm, “c’è stata confusione su chi doveva fare cosa. Visto che non era ben chiara l’individuazione di chi non sapeva nuotare, bisognava vigilare di più. Con così tanti ragazzini che non sapevano nuotare, quella era un’attività da considerarsi a rischio“. Per il pm, quello della piccola vittima è stato probabilmente un “annegamento silenzioso“: “Leonardo non si è dimenato. Il ragazzino che lo ha salvato l’ha visto andar giù e lo ha preso dal fondo”.

Tra gli indagati ci sono anche i due bagnini maggiorenni che secondo l’accusa non avrebbero “prestato la dovuta attenzione agli utenti, omettendone una fattiva sorveglianza e intervenendo solo successivamente all’annegamento”.

I bagnini erano in numero sufficiente e individuabili”, ha detto il pm Figoni, “Due, di cui il minore, erano a bordo vasca, e uno al bar. Chiaro che non hanno visto e di conseguenza non sono intervenuti”.

Infine, il legale rappresentante della società concessionaria della piscina: avrebbe omesso di “effettuare verifiche sulla sicurezza dell’impianto, astenendosi dal verificare che i cartelli indicanti la profondità corrispondessero al dato reale: infatti, in corrispondenza del punto di immersione della vittima, la profondità indicata di 140 cm non corrispondeva a quella effettivamente misurata dagli accertamenti successivi in 150 cm“. Per la procura, “tale circostanza ha avuto un incidenza causale diretta sull’annegamento, in quando la distanza tallone-narici della vittima è stata misurata in 131 cm”.

“Abbiamo effettuato verifiche sul contratto di concessione di servizi tra il Comune e la società concessionaria della piscina”, ha spiegato il pm. “Abbiamo verificato con dei riscontri in loco che la parte in cui era immerso Leonardo era segnata con un’altezza diversa rispetto a quella effettiva. 140 anzichè 150 cm. Se fosse stata di 140, considerando la distanza di 131 cm tra le narici e il tallone di Leonardo, magari mettendosi in punta di piedi forse sarebbe riuscito a sollevarsi e a chiedere aiuto“.

Già a giugno, i familiari del piccolo Leo, genitori di altri tre figli, non credevano al fatto che il bimbo fosse stato ucciso da un malore. Come avevano spiegato, il piccolo, che godeva di ottima salute, aveva pranzato a mezzogiorno. Difficile, dunque, pensare ad una congestione dovuta al contatto con l’acqua. Leo, che era entrato in piscina attorno alle 14, non sapeva nuotare  e secondo la famiglia i responsabili del Grest e della struttura ne erano stati informati.

I genitori di Leo, molto conosciuti a Canneto per aver gestito il Bar Centrale prima del cambio gestione, sono assistiti dagli avvocati Fabio Madella e Alessandro Paci.

Sara Pizzorni

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