Spettacolo

Stagione d'Opera Ponchielli, il 21
novembre in scena il Nabucco

Al Teatro Ponchielli, Nabucco si trasforma in un'epopea visiva, mostrando il conflitto tra il potere e la compassione, un messaggio attuale e universale.

Una scena del Nabucco (Ph: Lorenzo Gorini)

Con Nabucco, in scena venerdì 21 novembre (in replica il 23 novembre ore 16.00), il Teatro Ponchielli si fa capofila del capolavoro di Giuseppe Verdi tra i teatri di OperaLombardia. L’opera, ricca di passione e trame politiche, vedrà la direzione di Valerio Galli e la regia di Federico Grazzini.

Un’epica lotta tra libertà e oppressione, con il celebre Coro degli ebrei, “Va, pensiero”, che incanterà il pubblico. Un viaggio emozionante tra tradizione e innovazione, dove musica e teatro si uniscono in uno spettacolo che celebrerà il potere dell’arte e della speranza.

La vicenda di Nabucco si muove tra realismo e simbolismo, esplorando il conflitto tra potere e libertà, odio e amore, disumanità e compassione, incarnato nell’opposizione tra due divinità: Belo, simbolo di guerra e dominio, e Yahweh, emblema di giustizia e speranza. La nostra interpretazione drammaturgica accentua la netta divisione tra Babilonesi, oppressori spietati, ed Ebrei, incarnazione della resistenza all’oppressione e custodi della memoria storica.

L’opera di Verdi racconta il percorso di trasformazione di Nabucco, da tiranno crudele a uomo consapevole. Nella nostra versione il fulmine che lo sconvolge non è più un segno divino, ma l’esito di un atto violento di Abigaille, la figlia adottiva, che lo colpisce in testa accecata dalla sete di potere, conducendolo alla follia. Questa crisi lo spinge a un percorso interiore che, attraverso la perdita e la sofferenza, lo porta a rifiutare la violenza e ad abbracciare la compassione. La distruzione dell’idolo di Belo diventa così un atto di rinuncia al potere oppressivo.

I personaggi si muovono in un intreccio di contrasti: Nabucco, inizialmente dominato dall’ambizione, giunge alla consapevolezza dell’orrore da lui generato; Abigaille, spietata e determinata, incarna il lato oscuro del potere, fino all’autodistruzione; Fenena, simbolo di amore e redenzione, diventa il catalizzatore del cambiamento del padre. Gli Ebrei rappresentano la speranza per un futuro rinnovato di pace, mentre i Babilonesi simboleggiano l’arroganza e la distruzione cieca.

Nel climax finale, Nabucco scaglia la propria arma e invita i suoi uomini a fare lo stesso, sancendo la sua definitiva rinuncia alla guerra in favore della giustizia divina. L’opera offre così un’immagine moderna dell’uomo contemporaneo, disposto a sacrificare tutto per le proprie ambizioni, ma inevitabilmente costretto a confrontarsi con se stesso e le proprie paure per rinnovarsi.

L’ambientazione trae ispirazione dalla profezia biblica di Isaia, che descrive Babilonia come una città caduta, ridotta a rovina e abitata solo da creature notturne e selvatiche: “Le fiere dei deserti avranno in Babilonia la loro stanza insieme coi gufi, e l’ulule vi dimoreranno” spiega il regista, Federico Grazzini. “Questa visione apocalittica diventa il fulcro della nostra interpretazione scenica: uno spazio desolato e claustrofobico, simbolo della decadenza umana e del conflitto eterno tra oppressori e oppressi.

I Babilonesi non rappresentano un popolo specifico, ma la brutalità mascherata da civiltà, una società che, sotto la patina del progresso tecnico, cela violenza e disumanizzazione. Sono l’apice della razionalità degenerata in mostruosità, incarnano il potere assoluto e l’annullamento dell’individualità, evocando un mondo dominato dal controllo e dalla sorveglianza. I loro costumi, rigidi e ispirati a un immaginario distopico, sottolineano questa caratterizzazione. Al contrario, gli Ebrei simboleggiano la resilienza e la speranza, con una rappresentazione visiva più organica: abiti terrosi e logori che evocano il loro legame con la terra e la spiritualità, simbolo della loro capacità di resistere e risorgere dalle ceneri della distruzione.

La scenografia riflette questa dualità: da luogo sacro e vibrante di spiritualità a prigione spoglia e opprimente, specchio della degradazione imposta dal potere. L’idolo di Belo, freddo e imponente, simboleggia il dominio assoluto, destinato a sgretolarsi di fronte alla consapevolezza raggiunta da Nabucco.

Lo spazio scenico evolve, mescolando elementi arcaici e contemporanei per creare un’atmosfera atemporale e universale, specchio della parabola interiore del protagonista. La luce ha un valore fondamentale in questa rappresentazione simbolica. Una luce capace di creare atmosfere di terrore attraverso la freddezza dei neon ma anche la magnificenza dell’animo umano attraverso toni più caldi e l’utilizzo in scena di fuochi e fiaccole.

I costumi mescolano epoche diverse, fondendo passato e futuro. Gli Ebrei incarnano il dolore e la resistenza, mentre i Babilonesi rappresentano la macchina oppressiva, privi di umanità e mossi solo dalla sete di potere. Le armature e le uniformi degli oppressori evocano un dominio meccanico e spietato, mentre gli abiti degli Ebrei suggeriscono una connessione più autentica con la natura e la spiritualità.

L’estetica dello spettacolo combina passato e futuro, enfatizzando l’universalità del messaggio dell’opera. Nabucco diventa così una favola moderna che esplora i temi universali della lotta per la libertà e la ricerca di redenzione, diventando uno specchio per la società contemporanea. Il pubblico è invitato a riconoscere nella vicenda non solo un racconto biblico, ma un’allegoria senza tempo, in cui si riflettono le inquietudini dell’umanità di oggi” conclude il regista.

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