Povertà in aumento, Don Codazzi:
"Basta con le politiche emergenziali"
Di pochi giorni fa l’allarme del direttore della Caritas di Torino: le donazioni si sono dimezzate dall’epoca pre Covid rendendo più complicato il ruolo di assistere le tante fragilità che bussano alla porta delle strutture diocesane. A Cremona la situazione non è così drammatica, la Borsa di San Omobono, tradizionale raccolta fondi della Diocesi di Cremona – fondi distribuiti alle diverse zone della Diocesi in modo da aderire alle necessità di chi conosce bene le diverse realtà territoriali – tiene ancora, ma don Pier Codazzi, direttore della Caritas, non nasconde le difficoltà.
“Sicuramente c’è un calo perché è aumentata la fatica delle persone”, ci risponde tra un’incombenza e l’altra presso il Centro di Ascolto della Casa dell’Accoglienza, in via Stenico. “Parlo delle offerte di persone che normalmente riuscivano a far arrivare le offerte mensili o annuali. Anche piccole cose, ma che sono poi quelle che servono di più: le offerte continuative sono indubbiamente calate. Non siamo soli, purtroppo anche realtà più grandi di noi, come appunto Torino, mostrano chiaramente che alcune attività non ce la fanno più ad essere portate avanti. E anche a Cremona c’è stato un grido d’aiuto recentemente da parte della San Vincenzo rispetto alle cucine benefiche.
“Sono diminuite sicuramente le offerte, sono aumentate le povertà e quindi il rischio è di cadere nella depressione”, aggiunge, ma riprendendo l’ottimismo subito dopo: “Invece c’è tanta, tanta generosità che ancora si manifesta. Sicuramente abbiamo bisogno anche di un aiuto economico, è inutile nasconderlo, però vorrei dire che tante questioni vengono affrontate o potrebbero essere affrontate anche, ad esempio, con un buon vicinato, con una buona capacità da parte delle persone di accogliersi.
“Alcune povertà sono economiche, ma altre povertà, ad esempio le solitudini degli anziani nelle case, potrebbero essere affrontate sicuramente attraverso l’attenzione di chi vive nei dintorni. E ci sono anche altre solitudini che stanno emergendo fortissime, quelle degli adolescenti o dei bambini che si chiudono nella loro camera: un po’ di solidarietà familiare permetterebbe di essere loro vicino, penso attraverso le scuole e le società sportive. Anche questo, oltre a quello economico, è un grandissimo aiuto che dovremmo mettere in conto”.
Il problema abitativo è emerso in tutta la sua gravità anche a Cremona nelle ultime settimane, con il caso eclatante dello sfratto divenuto esecutivo da parte di Aler di due fratelli. E qui don Codazzi esprime un forte richiamo alle responsabilità di tutti, a partire dalla politica non di oggi ma di sempre: “Solo adesso ci accorgiamo che c’è un’emergenza abitativa? – afferma don Codazzi -. Oltre al desiderio che penso si stia diffondendo, di avere la pace nel mondo, cosa sacrosanta, mi auguro che alcune questioni vengano affrontate in modo strutturale e non più in modo emergenziale. Se la povertà continua ad aumentare, vuol dire che c’è qualcosa che va modificato nell’atteggiamento di tutti noi, a partire dalle istituzioni, quelle pubbliche, ma anche quelle del privato sociale, quelle della Chiesa e quant’altro.

Alcuni esempi? “Il tema della casa ormai in tutta Italia, compresa Cremona, va affrontato perché c’è tanta gente che non riesce più a trovare una casa in affitto con modalità adeguate. Se troviamo che molta gente fatica ad arrivare a fine mese, ci sarà qualcosa che dovrà essere modificato; se abbiamo sempre più persone, italiani inclusi, che vengono alle Cucine benefiche a chiedere di avere un pasto caldo, significa qualcosa. Come anche il fatto che emerga il fenomeno dei senza fissa dimora: vuol dire che ci sono delle povertà che sono abbastanza evidenti”. I 16 posti letto d’emergenza che la Casa dell’Accoglienza mette a disposizione sono importanti ma non risolvono alla radice un problema che chiama in causa tanti altri soggetti.
“Tutte queste cose vanno affrontate insieme, non da soli, perché nessuno da solo ce la fa”. Un esempio di possibile collaborazione istituzionale sul fronte delle politiche dell’abitare è quello messo in atto in alcune province limitrofe, dove un piccolo numero di alloggi di proprietà pubblica che necessitano di lavori viene affidato a strutture del privato sociale, rimesse in sesto e poi affittate con un accompagnamento sociale dei residenti. “Alcune città – spiega – hanno provato a sperimentare questa formula che consente di avere a disposizione alloggi adeguati alle normative con spese relativamente basse e affidate a realtà del Terzo Settore che possono garantire non soltanto l’abitare, ma anche l‘accompagnamento all’abitare, che è una questione molto più delicata. Bisognerebbe prendere 10 appartamenti del Comune, 10 appartamenti dell’Aler e provare a sperimentare questa cosa. Bisognerebbe provare senza paura, mettendoci però insieme, questa è la componente fondamentale”.
Giuliana Biagi