Un racconto di Isabella Chiadini
Diciamoci tutto
Un racconto di Isabella Chiadini
Ci siamo scritti per oltre un anno: un invito a un convegno sfociato in una relazione epistolare. Tempo fa sarebbe stata questa la definizione. Prima le mail, poi i messaggi.
Un giorno lui dice che possiamo dirci tutto; non ci sono tabù. Mi è sembrata così enorme, quella parola, così sproporzionata. Noi commentavamo gli eventi del mondo; qualche film, qualche libro. Accennavamo alla vita personale solo perché si intravedessero alcuni fatti essenziali. Per sorridere ricorrevamo all’infanzia, ai nostri cani, oppure alla Svizzera, il suo Paese di adozione. Non credo che flirtassimo, piuttosto avevamo elaborato qualche rito: nel salutarci, per esempio.
E allora il suo invito ad aprirci, benché fuori contesto, o forse proprio perché lo era, poteva liberarci da una messinscena leziosa. D’altra parte era stato lui a determinare il tono e la cadenza di tutto; mi ci ero adattata perché quella situazione sospesa mi lasciava fantasticare. Quando azzardava un complimento, io non ho mai osato; era così ottocentesco, affettato, e formale. Però era un complimento, e lo custodivo fino al messaggio seguente, di cui non avevo mai certezza. Così l’umore delle mie giornate dipendeva dall’arrivo o meno di qualche parola. Io ero lì per rispondere; non forzavo, perché temevo di perderlo. Aspettavo.
Una mattina decido di scrivergli: avrei voluto che mi rispondesse in tempi più ravvicinati; se potevamo dirci tutto, ecco, quelle attese, e quella subordinazione, non le sopportavo più. Che rapporto era il nostro? Ci saremmo potuti sentire. Ne aveva voglia?
Chiamami questa sera, mi dice. E così ho fatto; l’ho chiamato alle 21:00. Ti richiamo fra poco ha risposto lui, come se ci conoscessimo da sempre: nessuna inflessione nella voce, o emozione, ma subito un accento italiano regionale marcato, che mi ha infastidito.
Suona il telefono: è lui. Deglutisce un pezzo di qualcosa, perché sì, quando l’ho chiamato stava cenando. No, non disturbi, mi dice, è stata solo una giornata pesante: un paziente psicotico. E perizie. Tu non sai a quali pressioni sono sottoposto.
Lavorative?
Tutto.
Non gli parlo dell’angoscia che mi prende quando non risponde; ma lo avviso, perché ormai ho deciso di farlo, che il 9 giugno sarò a Basilea. Se vuole raggiungermi, un aperitivo, Zurigo non è lontana.
Mia moglie compie gli anni il 9 e sto con lei per qualche giorno, dice.
Come?
Vivo solo, ma non ti ho mai detto di essere separato.
In effetti non l’ha mai detto; non in questi termini. Ma è un sollievo saperlo. Incomincio a ridere come non ho mai riso.
Torna pure alla tua cena, gli dico. E lo saluto.
