Un racconto di Erica Biazzi
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Un racconto di Erica Biazzi
Sara non lo sa, ma lui sta per piantarla. Fabio gongola, mentre ci pensa. Seduto sul divano di velluto del salotto, osserva la moglie, elegantissima nel tailleur di Gucci color canarino, trattenere a fatica la rabbia che la abita.
«Guarda che il coma etilico a cinquant’anni non è la stessa cosa di quando ne hai venti», ruggisce Sara.
Fabio sospira.
«Quarantasette».
Oggi è l’idiota che si è ubriacato in un bar di periferia. Domani sarà l’eroe dell’ufficio, lo spirito animale della squadra di calcetto, l’unico del suo gruppo di amici a essersi liberato. Colui che ha spezzato le sbarre della gabbia matrimoniale a mani nude.
Manca poco. Pochissimo.
Sara, come suo solito, seleziona con cura le parole per non ferire i sentimenti di chi l’ascolta. Qualcuno, al lavoro, una volta gli ha detto che è una qualità. Fabio non lo pensava allora, e meno che mai ora, con un’emicrania martellante e la fatica di dover orchestrare l’inizio della fine.
Poi, all’improvviso, Sara smette di parlare e sparisce nella stanza accanto. Solo ora Fabio si accorge che il telefono stava squillando.
La chiamata dura alcuni minuti. Li conta osservando la lancetta dell’orrendo orologio a cucù appeso alla parete: un regalo della nonna di Sara che, con un po’ di fortuna, presto non rivedrà mai più.
Quando lei rientra in salotto, Fabio sente un brivido attraversarlo. È il momento.
Sara lo fissa. L’espressione sul viso di lui le ricorda un ghigno ambiguo da giullare di corte – le fa tornare alla mente qualcosa che ha letto su internet. Una sola notte alcolica può alterare la mimica facciale in modo permanente?
«Ha chiamato un certo Guglielmo» informa il marito.
Fabio s’irrigidisce. Il ghigno si deforma. Sara lo osserva, preoccupata. Forse avrebbe dovuto leggere quegli articoli sui primi sintomi dell’epilessia.
Si siede accanto a lui su divano; gli appoggia una mano sull’avambraccio. È gelido come un cadavere.
Ma dentro di sé Fabio è attraversato da una tempesta.
Guglielmo.
Quel nome, uscito dalle labbra di sua moglie, ha spalancato un abisso.
E ora che lei gli è accanto, con il suo profumo costoso che sa di fiori marci, e la mano callosa che gli sfiora la pelle, tutto appare così reale da sembrare la parodia di un film horror.
Si era ubriacato proprio per evitarlo. Perché già sapeva che era un’idea di merda.
«Mi sa che ho fatto una gaffe: è un collega, vero?» continua Sara. «Comunque, ha saputo della tua notte brava e voleva assicurarsi che fossi ancora vivo».
Guglielmo che chiama a casa. A un passo dall’entrare nella sceneggiatura della sua vita.
E allora la gente saprebbe: distrutte le bozze dei suoi piani di gloria. Altro che eroe dell’ufficio, spirito animale della squadra di calcetto: quegli stessi volti amici lo accoglierebbero con risate maliziose, smetterebbero d’invitarlo a cena, e tra di loro prenderebbero a scambiarsi ipotesi sulla sua vita sessuale.
Il coraggio si dissolve. Si fa strada in Fabio una sensazione di paura, cui decide di dare il nome di buon senso. Mica la butti via una laurea in marketing.
E allora affonda il viso nel collo di Sara.
«Scusami. Davvero non so che mi sia preso».
