Assolto dall’accusa di tentato omicidio: “Non l’ho spinta giù”
(nella foto, il tribunale di Cremona)
C’è voluto solo un quarto d’ora di camera di consiglio, oggi, per arrivare all’assoluzione di Mostafa El Amri, marocchino 36enne, accusato di tentato omicidio: “Il fatto non sussiste”. Alla cognata che l’ha soccorsa e in ospedale la fidanzata connazionale 28enne di Mostafa, precipitata dal secondo piano di un palazzo di Castelleone, aveva detto di essersi lanciata volontariamente quella sera del 29 novembre 2010. Una settimana dopo il cambio della versione: il ragazzo – difeso dall’avvocato Tiziana Versace del foro di Milano – aveva cercato di ucciderla. “Quella sera, per sfuggire al mio ex fidanzato, che in cucina temevo stesse per prendere un coltello per uccidermi, mi sono nascosta sul balcone”, aveva successivamente raccontato la giovane, costituitasi parte civile attraverso il legale Gianluca Pasquali.
La causa della furia dell’uomo sarebbe stata da ricercare in un sms compromettente letto sul telefono della 28enne. “Ho scavalcato la ringhiera e sono rimasta sospesa nel vuoto per dieci minuti. Faceva freddo e non ce la facevo più a tenermi, così ho chiamato Mostafa. Lui mi ha detto che dovevo morire e mi ha staccato le mani e sono caduta”. “Non ero in cucina, ma in bagno”, aveva invece raccontato l’imputato. “Ho sentito delle urla e sono andato sul balcone. Lei era già caduta. Sono sceso e ho chiamato sua cognata”. Poi era fuggito “per paura” alla luce di un’espulsione pendente, e tempo dopo era stato arrestato a Milano. “Se l’avessi fatta cadere io sarei scappato in Marocco e non avrei chiamato la cognata”, aveva raccontato nella scorsa udienza. Il pm Fabio Saponara (chiesti 8 anni): “E’ l’imputato che l’ha fatta cadere. Preso dalla gelosia, con un dolo d’impeto, le ha staccato le mani, mettendo in atto un’azione particolarmente violenta. Poi è scappato”. L’avvocato Pasquali: “La mia cliente è terrorizzata perché è sicura che se Mostafa uscisse dal carcere la ucciderebbe”. La difesa dell’imputato: : “Lei lo voleva lasciare. Di motivi di rancore ne aveva, eccome. Le sue dichiarazioni, quelle vere, le ha fatte alla cognata e in ospedale subito dopo la caduta, e cioè che aveva fatto tutto da sola”. Entro sessanta giorni le motivazioni della sentenza di assoluzione (il collegio di giudici composto dal presidente Pierpaolo Beluzzi e a latere da Andrea Milesi e Francesco Sora ha ordinato l’espulsione dell’imputato clandestino). Lungimiranza era stata mostrata dal giudice Guido Salvini all’epoca dei fatti. Aveva definito l’episodio “non chiarito del tutto”, rigettando comunque la richiesta dei domiciliari. Per lui era “necessaria” un’indagine più approfondita.