Cronaca

Ernani, terzo successo di questo teatro di provincia

foto Francesco Sessa

A Cremona mancava dal 1982, dopo esserci arrivata subito, già nell’autunno di quel 1844 in cui aveva conosciuto il debutto, alla Fenice di Venezia. A salutarla, la scorsa domenica 25 novembre, era un Ponchielli gremito, festoso, tuonante di sanguigno entusiasmo come un’autentica corrida. Addirittura, al termine della recita, da un palchetto spuntava una consunta bandiera italiana con tanto di stemma regio, sopravvissuta a chissà quali battaglie, recante un “Viva Verdi!” scritto a gessetto che sapeva ancora di Ottocento e di moschetti.
Dopo Tosca e I Capuleti e i Montecchi, Ernani è il terzo successo inanellato da questo teatro di provincia che sa mettere d’accordo progettualità e bilanci. Opera di snodo tra gli esiti di Nabucco e dei Lombardi e quelli successivi, più psicologicamente scavati, di Rigoletto e di Trovatore, Ernani è a tutti gli effetti l’opera del coraggio: quello di Elvira, che rifiuta le lusinghe di un sovrano per un bandito, quello del vecchio De Silva, che tiene testa al suo re per proteggere il rivale a cui ha appena giurato ospitalità salvo poi chiederne la vita, quello supremo dell’eroe, che onora la parola data con la morte. E’ la spietata regola che vige tra cavalieri; e nell’Aragona del 1519, così come nell’Italia di quel primo Risorgimento, coraggio significa saper morire nell’integrità dell’anima.
La vicenda di questo dramma attinto dalla penna di Hugo e affidato, per la prima volta, a quella di Francesco Maria Piave per il libretto è una storia che avvampa accartocciata su se stessa, divorata dalla sua stessa urgenza drammaturgica; tutto accade in fretta, in folate di musica tutta ritmi puntati, fraseggi incalzanti, colori vividi stesi attorno ai quattro personaggi che, come punti cardinali, si stagliano marmorei sulla scena: Ernani, il bandito impavido che sfida la morte per amore e morirà per onore; Elvira, l’amata che Silva tiene prigioniera nella torre del suo castello; lo stesso Silva, il vecchio spietato ma al tempo stesso capace di sorprendenti gesti di lealtà; Carlo, che una volta eletto imperatore lava la sua sete di vendetta nel perdono.
Personaggi granitici, certo, ma al tempo stesso levigati con una plasticità nuova per la guizzante scrittura verdiana; uno scavo introspettivo che ben si coglieva soprattutto nell’interpretazione di Alessandro Luongo, Carlo d’Asburgo di bella intelligenza e di fraseggio finissimo, magnifico nello scolpire gli accenti del potere e quelli della più intensa seduzione, tanto da far dimenticare – sul tappeto talora ridondante di un’Orchestra dei Pomeriggi Musicali sferzata dalla bacchetta sicura quanto spiccia di Antonio Pirolli – un volume di voce non sempre autorevole. Accanto al giovane pisano spiccava la figura amara e viscerale di Silva – impietoso nella bile della sua amarissima condizione di uomo potente ma già vecchio e quindi escluso dall’arena delle giovanili passioni – delineata da un intenso Enrico Giuseppe Iori.
Coraggiosi ma non altrettanto compiuti erano l’Ernani di Rudy Park e l’Elvira di Maria Billier; lui, a cui madre natura ha donato una valanga di decibel, dovrà affinare la capacità di sfumare i colori, qui mai al di sotto del forte, e la morbidezza dell’emissione; lei quella di appoggiare i fiati e di dare alla parola la necessaria chiarezza di pronuncia. Felicissima e senza bavature, invece, la regia di Andrea Cigni, essenziale nel dispiegamento di mezzi quanto efficace nella resa.
Tutto inizia e tutto finisce con il corno, pegno e maledizione, al centro della scena. E tutto avviene nel giro di compasso, asfittico senza filtro alcuno di luci esterne, di una torre che si fa ora prigione ora sotterraneo sepolcrale, quando la scena si sposta ad Aquisgrana per l’elezione dell’imperatore. Lo scranno del potere è anche porta che rinserra, muro di parole scolpite dal tempo; il busto eburneo di Carlo Magno torreggia sbilenco ed incombente, volto di sale senz’che già presagisce la sinistra maschera della morte con cui Silva, nella Saragozza in festa che si appresta alle nozze tra Ernani ed Elvira, viene a chiedere il conto, suonando il corno della maledizione. Applausi festosi, mentre già si guarda al prossimo titolo, la rossiniana Italiana in Algeri che debutterà il prossimo venerdì 30 novembre.

Elide Bergamaschi

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