Prestazioni sessuali nel centro massaggi di via Grandi, una condanna
Nel centro massaggi orientale di via Guido Grandi, dal febbraio all’aprile di tre anni fa, non si spalmavano solo olii ed essenze. Si praticava anche la prostituzione. Lo ha dimostrato il processo celebrato nei confronti di una donna cinese di 45 anni che il collegio dei giudici composto dalla presidente Maria Stella Leone e dai colleghi a latere Francesco Sora e Christian Colombo ha condannato a due anni, pena sospesa, e a 3.000 euro di multa. Assolto, invece, il padre, imputato anch’egli nel procedimento. Per entrambi, difesi dall’avvocato Vito Castelli, il pm Francesco Messina aveva chiesto una pena di un anno, quattro mesi e 3.000 euro di multa ciascuno per l’accusa di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Lo stesso pm ha parlato di “prove evidenti”, non solo del fatto che all’interno si praticassero anche prestazioni sessuali, ma anche il vantaggio economico per padre e figlia. Il pm ha ricordato i risultati raccolti durante l’indagine dagli uomini della squadra mobile della Questura con il posizionamento delle telecamere “che hanno documentato le prestazioni sessuali e il denaro consegnato all’imputata che era alla cassa”, e poi gli interrogatori dei clienti fermati all’uscita, e in particolare di uno sentito a dibattimento “che ha fatto un resoconto esplicito” di quanto avveniva nel centro massaggi. Se si passava alle prestazioni hard i costi variavano a seconda delle disponibilità del cliente. Di norma si andava da 70 a 100 euro a prestazione. Ancora: l’attività di appostamento all’esterno dell’esercizio, attività che ha consentito di appurare che l’imputata “andava a dormire nell’abitazione al piano superiore del negozio”, mentre la ‘massaggiatrice’, una ventenne cinese, “rimaneva chiusa a dormire all’interno del centro”. “I due imputati non sono nuovi ad attività del genere”, ha poi ricordato il pm. “L’imputato, ad esempio, aveva attività simili anche nella bergamasca e sul piacentino”. Diverso il parere dell’avvocato difensore che ha invece sostenuto che l’imputata, che stava alla cassa, “non poteva sapere quanto avveniva nelle stanze”. Nel luglio del 2011 era scattato il sequestro preventivo del locale.
Sara Pizzorni
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