Poletti: 'Le riforme? Andavan fatte già 20 anni fa, non decidere è disastroso'
foto Sessa
Molte panche vuote lunedì sera alla festa dell’Unità alle Colonie Padane, dove era ospite il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, uno dei ‘big’ della festa dell’Unità di quest’anno. Una trentina di autonomi del Dordoni e del Kavarna hanno infatti bloccato via del Sale all’altezza dell’argine; non molti ma sufficienti a far cambiare idea a parecchi diretti alle Colonie Padane, che pensando di non poter passare, hanno fatto inversione. L’annunciata contestazione al ministro visto come emblema della precarizzazione, di fatto è riuscita, anche se gli esponenti dei centri sociali non sono arrivati fino alle Colonie Padane, bloccati da una doppia fila di agenti antisommossa della Polizia di Stato e dalla Polizia Locale.
Il ministro, accolto dal senatore Luciano Pizzetti e dagli esponenti del Pd locale tra cui i segretari provinciale e cittadino Matteo Piloni e Roberto Galletti, ha così potuto spiegare quelle che per il governo Renzi sono le buone ragioni per aver varato provvedimenti come il Jobs Act e le riforme istituzionali. Entrambe cose che – spiega il ministro – avrebbero dovuto essere fatte 15, 20 anni fa “perchè non decidere, o pensare che non sia il momento giusto per decidere, significa non avere intenzione di cambiare. Sono 20 anni che l’Italia perde competitività perchè le scelte che andavano fatte allora non si sono fatte. Per tutto questo tempo abbiamo scansato il problema; la riforma del lavoro la Germania l’ha fatta da un bel pezzo, adesso ha l’indice di disoccupazione più basso d’Europa. Quando, prima del Jobs Act, venne presentata una legge di riforma del mercato del lavoro, fece avanti e indietro 8 volte da un ramo all’altro del parlamento e non se ne fece niente. Ecco un esempio del perchè le riforme istituzionali sono indispensabili, perchè se si continua a non decidere, facciamo disastri”.
Poletti ha difeso contestualmente Jobs Act, come insieme di provvedimenti che danno risposta a quell’85% di forza lavoro esclusa dai contratti a tempo indeterminato (“abbiamo fatto in modo che il contratto a tempo indeterminato sia una cosa normale in questo Paese”); e riforma della scuola, visto che la formazione nelle aziende per gli studenti verrà facilitata dal combinato delle due leggi. “Abbiamo forse idea che si impari soltanto a scuola? Noi sappiamo che invece si impara in tanti posti; questa riforma finanzia in modo importante l’alternanza scuola lavoro”. Molte le sottolineature del ruolo fondamentale del mondo imprenditoriale nella creazione di lavoro, mondo a cui il governo è sicuramente andato incontro con la decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato per i primi tre anni e con la parziale riforma dell’imponibile Irap. Il ministro ha fornito anche dei numeri sulla bontà della riforma: gli occupati – ha detto – sono arrivati nei primi cinque mesi del 2015, allo stesso livello numerico del 2012, recuperando quindi le centinaia di migliaia di posti di lavoro persi negli anni intermedi. Un menù di riforme, comunque, che sicuramente molti degli ex Pci presenti tra il pubblico ancora faticano a digerire.
Quanto alla Grecia, “basta guardare al passato, bisogna chiederci che cosa succederà da qui in avanti. Certo che proporre agli italiani come una grande opportunità le file dei pensionati alle banche, non mi sembra una grande strategia”. Evidente poi l’avversione del ministro per chi osteggia il cammino delle riforme “senza avere senso di responsabilità e solo per portare avanti le sue bandiere”.
g.b.
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