Cronaca

'Bucarono l'intestino' durante colecistectomia, paziente morta: tre chirurghi dal gup

L'avvocato Michela Soldi
L’avvocato Michela Soldi

Devono rispondere davanti al gup Pierpaolo Beluzzi dell’accusa di omicidio colposo tre chirurghi dell’ospedale di Cremona che avrebbero causato la morte di Maria, 71 anni, cremonese, deceduta il 19 ottobre del 2014 per shock settico da peritonite dopo essere stata sottoposta ad un intervento di colecistectomia in laparoscopia. I medici sono difesi dagli avvocati Luca Pederneschi, Cesare Gualazzini, Diego Munafò e Alessia Vismarra. Il marito, il figlio e due nipoti della vittima si sono già costituiti parte civile attraverso l’avvocato Michela Soldi. Non essendo stata disposta da parte della procura una perizia in sede di indagini preliminari, oggi in udienza il giudice ha ordinato una propria perizia, rinviando l’udienza al prossimo 6 marzo per conferire l’incarico all’esperto.

Gli imputati, durante l’intervento in laparo, avrebbero effettuato “un’incauta introduzione del trocar, bucando l’ansa intestinale, causando una lesione di 2 cm con un conseguente massiccio versamento intestinale nell’addome, responsabile della peritonite, e quindi della morte della paziente”. Il 18 settembre del 2014, Maria, così come programmato, era stata ricoverata nel reparto di Chirurgia dell’ospedale per essere sottoposta all’intervento di colecistectomia laparoscopica. Già il giorno dopo l’operazione, la paziente aveva accusato dolori addominali, richiedendo spesso l’intervento del personale infermieristico. La mattina del 22 settembre la donna aveva notato la fuoriuscita di un forte odore dal catetere sentinella, tanto che il medico aveva proceduto alla sua rimozione, programmando per il giorno successivo una Tac. Alla sera il medico di guardia aveva notato una fuoriuscita di liquido proveniente dal punto in cui era stato rimosso il catetere e aveva deciso di intervenire, facendo portare la paziente in sala operatoria. Il 23 settembre Maria era stata ricoverata nel reparto di Terapia Intensiva e Rianimazione “in condizioni di criticità assoluta”, come si legge nell’atto di costituzione di parte civile.

Al marito e al figlio della paziente, i medici avevano spiegato che il ricovero in quel reparto si era reso necessario per il fatto che durante l’intervento era stata danneggiata un’ansa intestinale dalla quale era fuoriuscita una notevole quantità di liquido che aveva riempito l’addome e compromesso la funzione degli organi interni. Nei giorni successivi Maria subirà tre interventi a distanza di una settimana l’uno dall’altro, sempre a causa del problema dello sbuffo di sostanze dovuto alla non perfetta cicatrizzazione dei tessuti intestinali. Il 19 ottobre era sopraggiunto il decesso.

Per l’accusa, i medici, effettuando sulla paziente l’intervento in laparo, nonostante la presenza di controindicazioni, quali la presenza di aderenze  intraperitoneali, esito frequente di precedenti interventi chirurgici, non avrebbero valutato durante l’intervento “la necessità di convertire tempestivamente l’operazione alla tecnica open, o laparotomia, in modo da avere una visione diretta e la possibilità di usufruire sia della visione tridimensionale dell’occhio umano (e non bidimensionale dell’ottica), sia degli strumenti classici (posti nella mano del chirurgo e non manovrati), ciò al fine di proteggere la paziente da lesioni intraoperatorie”.

“La video laparoscopia”, è scritto nell’atto di costituzione di parte civile, “risulta controindicata in presenza di aderenze diffuse o anche localizzate a regioni anatomiche di passaggio obbligato per svolgere la procedura”. Nei confronti degli imputati, dunque, secondo la parte civile, “è individuabile una condotta colposa per imprudenza nell’aver previsto e non evitato una lesione evitabile attraverso la conversione dell’intervento da laparoscopico a laparotomico; una condotta colposa per negligenza nell’aver ritardato il reintervento, benché le condizioni cliniche e le risultanze strumentali indicassero chiaramente l’indicazione all’intervento. Tale negligenza risulta dalla mancanza di puntualità e di dettaglio nell’annotazione in cartella degli elementi utili alle decisioni cliniche”.

Sara Pizzorni

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