Liliana Segre al Ponchielli: "Ragazzi, non dite mai non ce la faccio"
Oltre 800 gli studenti che questa mattina al Ponchielli hanno assistito al racconto di Liliana Segre, una delle 25 sopravvissute di Auschwitz del gruppo di 776 bambini e bambine italiani deportati insieme a lei nel 1944.
Dopo la presentazione di Ilde Bottoli, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luciano Pizzetti e del sindaco Gianluca Galimberti, la Segre ha subito chiarito di essere qui “per i miei nipoti ideali di oggi. Ho una storia da raccontarvi, una storia tragica che però finisce bene”.
La famiglia di Liliana era ebraica, ma laica, “i miei genitori erano atei. Andavo in seconda elementare, ero esonerata dalle ore di religione e le mie compagne di classe erano invidiose di me e delle altre compagne che correvano invece di stare in classe”. Un giorno si sentì dire, a tavola, di essere stata ‘espulsa’ dalla scuola. “Neanche adesso mi sono data una risposta a quel perché. I cominciai a vedere intorno a me delle cose che non conoscevo: la polizia entrava in casa e ci trattava da nemici della patria”.
La tragedia nella tragedia, spiega ‘nonna’ Liliana, mescolando passato e presente nel suo lucidissimo racconto, è l’indifferenza: “Quando sono tornata le mie coetanee mi chiedevano: ma dove sei stata tutto questo tempo?” Tornata dalla deportazione, frequenta una scuola privata e scopre sempre più i valori famigliari. “I genitori possono anche essere deboli, possono anche essere perdenti, non bisogna pretendere che loro sappiano sempre cosa fare. Mio padre fu debole, mi chiese scusa di avermi messo al mondo…..ma io non ne avrei voluto un altro. Ragazzi, non bisogna sempre pretendere, è importante dare”.
Liliana torna indietro nel tempo, negli ultimi giorni milanesi: senza mamma, viveva con il padre e i nonni. Ai primi accenni di persecuzione razziale, il padre non reagisce subito, non cerca una via di fuga: “Mio papà non volle lasciare i nonni, vecchi e malati”. Sfollati a Como, riesce ad ottenere un permesso per i due anziani mentre lui e la tredicenne Liliana si incamminano verso il confine con la Svizzera, insieme ai “contrabbandieri esosi, che ci fecero passare scavalcando la rete sulla montagna per una cifra enorme. Noi così sciocchi e così grotteschi. Gli svizzeri ci rimandarono indietro. Era il dicembre 1943. Dissero che non era vero che gli ebrei erano perseguitati. Le guardie svizzere ci riaccompagnarono sul confine dove fummo arrestati dai finanziari italiani”. Poi il carcere, prima quello femminile a Varese con la separazione dal padre, poi il ritorno a Milano San Vittore. Almeno lì potè stare con padre, riuniti nella cella 202, per 40 giorni. Poi, la separazione definitiva e la deportazione.
Un racconto che spesso si interrompe con incursioni nel presente come quando riferisce del colloquio privato con Mattarella (“il timido presidente Mattarella”): “Io sono stata una richiedente asilo in Svizzera con le carte false, per fuggire a quello Stato che mi aveva chiuso le porte a scuola”. E ancora, il ritorno a quei due tragici inverni, in cui si smarrisce il senso dell’umanità, le umilianti selezioni davanti ai kapò: “Tre volte ho passato la selezione. Nudi davanti al kapò, scheletri, testa rasata, non più donne, ma ectoplasmi. Due soldati in divisa, con un medico, fermavano queste donne in fila indiana e ti valutavano … quando mi facevano passare ero grata al mio assassino … il mio egoismo era arrivato al punto da non voltarmi nemmeno indietro a guardare la mia compagna che era stata spedita alla camera a gas”.
“Ragazzi, non dite mai ‘non ce la faccio più’, siamo fortissimi, fantastici e dobbiamo scegliere la vita”.
L’intensa mattinata al Ponchielli, che fa parte delle iniziative della Giornata della Memoria, è stata realizzata grazie al sostegno di Fondazione Comunitaria e Fondazione Arvedi Buschini. All’iniziativa di Cgil, Cisl e Uil regionale ‘Un treno per Auschwitz’, quest’anno ci sarà una rappresentanza cremonese, mentre saranno 850 gli studenti della provincia che visiteranno Dachau.
“Testimone dell’olocausto pianificato da criminali razzisti”, questo il saluto iniziale di Pizzetti: “Lei è vittima e testimone di una tragedia umana studiata scientemente che va vista come ammonimento agli occhi del mondo. La giornata della memoria non è solo un ricordo, è un monito, l’olocausto è un rischio che può tornare. I tentativi di revisionismo storico di oggi sono una colpa paragonabile al collaborazionismo di allora. Il revisionismo storico è tradimento della storia. Inneggiare al fascismo perchè costruiva strade e palazzi è riportare in vita quel demone maligno. La democrazia è ricca di debolezze e contraddizioni ma è un’ argine”.
g.biagi