Spettacolo

Brunello e Kremerata Baltica. Il suono della Natura secondo Mahler

di VITTORIO DOTTI

In tutta franchezza pensavo che Pierre Boulez coi Cleveland e Claudio Abbado coi Wiener avessero stabilito il top nell’esecuzione orchestrale del repertorio mahleriano. Mi sbagliavo. Dopo che ho udito i Baltica, ospitati nella notte del 18 dicembre nella sala da concerto del Museo del Violino, mi devo ricredere. L’esecuzione offerta dal violinista Gidon Kremer, dalla Kremerata baltica, l’eccellente ensamble cameristico da lui fondato ventun anni fa, e dal violoncellista Brunello, in veste di solista e di direttore, ha superato ogni attesa e offerto al pubblico dell’M.d.V. un dono natalizio superlativo.

La serata è iniziata con il giovanile Quartetto in la minore per pianoforte e archi, del quale gli interpreti hanno saputo evidenziare i richiami alla formazione classicistica del grande musicista boemo, ma anche le numerose intuizioni del nuovo stilema espressivo che negli anni avvenire Mahler avrebbe introdotto, rivoluzionando i principi compositivi della musica colta europea in modo assai più travolgente di quanto aveva fatto Wagner, seppure con modalità ‘propagandistiche’ meno survoltate.

Terminato il Quartetto, i musicisti baltici e il solista veneto ci hanno accompagnato nell’incompiuto paesaggio della Decima, postremo dono ritmico del compositore austro-boemo, che con la Nona Sinfonia e con il Lied von der Erde concluse la sua carriera terrena. Ma prima di abbandonare il mondo sublunare, Gustav Mahler volle premurarsi di ribadire che lo stile classico era giunto al termine, che il linguaggio della musica moderna – non soltanto austriaca e tedesca – doveva d’or’innanzi basarsi su procedimenti dissociativi atti a schiudere la millenaria voce di Euterpe (la Musa della musica, ndr) a fraseggi sonori vieppiù fragmentati, ove gl’intrecci melodici si sviluppano in fogge fluide e la polifonia assurge ai più liberi slanci. Da queste premesse, scandite nella sublime “Sinfonia di Lieder” del 1908-909, nota come Lied von der Erde, ribadite nello sconvolgente primo movimento della Nona Sinfonia e asseverate, appunto, nell’Adagio dell’interminata Decima, discese una miriade di nuovi linguaggi, originali e autonomi nelle loro fisionomie identitarie, ma tuttavia riconducibili al creativo imput ‘scompositivo’ mahleriano: dalla scuola di Vienna di Schönberg, Berg e Anton Webern alla musica seriale di Igor Stravinskij; dalla passione popolaresca di Karol Szymanowski, Zoltán Kodály e Béla Bartók all’infatuazione ritmica di Manuel de Falla; da Paul Hindemith, Kurt Weill, Hanns Eisler alla gloria sovietica di Prokof’ev e Dmitrij Šostakovi?; senza dimenticare – vi prego – il fiabesco Pelléas et Mélisande di Gabriel Fauré e l’interstellare Wozzeck del dodecafonista Alban Berg.
Ad ampliare il quadro, ma solo con un cursorio flash interdisciplinare, aggiungo che i suddetti sviluppi nel regno della Musa Euterpe hanno corrispettivi e rimandi nel regno della consorella Calliope (Musa delle lettere, ndr): penso, in particolare, ai romanzi cardine del destrutturalismo novecentesco (Ulysses e Dedalus di Joyce, la Recherche di Proust, Doktor Faustus di Mann; poi, un poco meno conosciuti ma altrettanto fondamentali, Voyage au bout de la nuit e Mort à crédit di Louis-Ferdinand Celine, Rayuela di Julio Cortàzar, La región más transparente di Carlos Fuentes Macías, Cien años de soledad di Gabriel José de la Concordia García Márquez, e infine l’inquietante romanzo semi-ultramondano del fondatore del realismo magico, Pedro Paramo composto dal fotografo e scrittore Juan Rulfo, per me un Maestro assoluto!).

Solo un accenno, appunto, per venir ora a parlare di come quel rigoglio di forme inusitate fosse racchiuso in nuce nella concezione mahleriana dell’arte musicale, com’egli la sintetizzò nella lettera del 18 novembre 1896 al critico praghese Richard Batka: la musica «è per me sempre e in ogni caso soltanto Naturlaut (suono della natura)! … Non riconosco altro genere di programma, almeno per le mie opere». Per commentare questa concezione dal punto di vista musicologico non riuscirei a ideare parole migliori di quelle espresse da Mario Baroni e da Enrico Fubini nella loro Storia della musica (Einaudi, 1988 e 1995): «La concezione mahleriana della musica come Naturlaut non si pone il problema della “musica assoluta” per la sua volontà stessa di “costruire un intero mondo”, di dare concreta voce alla complessità e molteplicità di una esperienza del reale aperta e frantumata. Così nelle vaste e rigorose costruzioni delle sinfonie di Mahler si addensano materiali eterogenei, trovano posto gesti parossisticamente teatrali e momenti di straziato intimismo, vocaboli di innocenza popolare e banali musiche di consumo, reminiscenze di marce popolari, stilemi da operetta, corali bruckneriani, immagini di vagheggiata bellezza o di feroce sarcasmo, dando vita ad organismi formali pensati secondo una logica sapiente e che pure sembrano esplodere in una caotica molteplicità, definendo percorsi ambigui, aperti a direzioni diverse, ad un tempo musicale di libertà e duttilità originalissime. La violenza esercitata sulla forma sinfonica tradizionale si manifesta nella coesistenza di un solido impianto costruttivo e di elementi disgreganti, centrifughi, come bruschi dislivelli stilistici, dolorose lacerazioni, fratture emblematiche di una impossibilità di conciliazione».

Sotto le mani sapienti di Brunello, la Kremerata baltica ha confermato in pieno ciò che di lei ebbe a dire, con motivato orgoglio, suo padre Gidon: un’orchestra «dalla mentalità aperta, autocritica, un prolungamento della mia anima musicale; un’orchestra capace di trasmettere una sensazione di spontaneità e di far musica in un modo che rende ogni concerto intenso e sensuale una continuazione del processo creativo». Un’orchestra che ha stregato Cremona e che ora si prepara a intrigare i sospiri di chiunque avrà la ventura ascoltarla.  Mentre il Maestro Brunello, tornato nel mondo sublunare dopo l’avventura in direzione spaziale, sollecitato da me, ha promesso ai lettori/musicultori che a gennaio eseguirà per loro, in prima rappresentazione mondiale, la sua Sonata per voce narrante e violoncello intitolata “Il Silenzio”.

 

 

 

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