Cronaca

Morti Covid, "fenomeno eccezionale":
chiesta archiviazione per le Rsa

Mancanza di specifiche linee guida e assenza di autopsie per stabilire le cause dei decessi. "Impossibile attribuire responsabilità a singole persone fisiche": il procuratore chiede l'archiviazione per le otto Rsa di Cremona e provincia finite nell'inchiesta sulle morti per Covid

Il procuratore Roberto Pellicano

Finisce con otto richieste di archiviazione l’indagine della procura di Cremona sulle morti per sospetto Covid avvenute nei mesi di piena emergenza sanitaria nelle otto Rsa della provincia di Cremona finite sotto inchiesta in ragione dei certificati Inail trasmessi alla procura e degli esposti presentati da soggetti privati e associazioni di categoria. Nel mirino degli investigatori c’erano la Fondazione Benefattori Cremaschi Onlus di Crema, l’Azienda Speciale Cremona Solidale di Cremona, la Fondazione Elisabetta Germani Onlus di Cingia dè Botti, l’Azienda Ospedale della Carità di Casalbuttano, la Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro, la Fondazione Ospedale Caimi Onlus di Vailate, la Fondazione Bruno Pari di Ostiano e la Fondazione La Pace Onlus di Cremona.

Dell’indagine relativa alle morti sospette nelle Rsa, il procuratore Roberto Pellicano aveva già dedicato un’ampia parte a gennaio nella sua relazione sull’amministrazione della Giustizia, sottolineando le difficoltà,  anche con riguardo alle realtà più critiche, di “attribuire responsabilità a singole persone fisiche all’interno delle varie strutture nel periodo della prima emergenza in cui non c’erano, da parte delle autorità preposte, chiare e specifiche linee guida volte alla predisposizione di adeguati protocolli operativi e all’approvvigionamento di dispositivi di protezione”.

“Sebbene dalle attività di indagine”, ha spiegato il procuratore, “siano emersi profili comprovanti una non del tutto idonea gestione dell’emergenza sanitaria, tali circostanze non paiono del tutto imputabili soggettivamente al personale direttivo delle Rsa. La mancanza di uno scambio informativo con gli organi preposti, quali ad esempio Ats, non ha permesso l’elaborazione tempestiva di protocolli organizzativi idonei a contenere o evitare il contagio dei propri pazienti e dei propri dipendenti. Tale aspetto pare in gran parte dipeso dall’eccezionalità del fenomeno in corso, nonché dalle difficoltà incontrate nella gestione dello stesso da parte di tutti gli enti preposti; d’altronde, le allora scarse informazioni scientifiche circa le caratteristiche del virus, la sua elevata trasmissibilità e la gravità della conseguente malattia non hanno agevolato la predisposizione di idonei protocolli anti-contagio, la loro trasmissione agli enti, quali le Rsa, e l’informazione dei dipendenti e dei pazienti in ordine al rischio contagio”

Per quanto riguarda le ipotesi di reato relative alle singole lesioni o omicidi colposi, “è apparso oltremodo difficile”, ha sostenuto il procuratore, “ricondurre i singoli eventi alle condotte poste in essere da parte di individuate persone fisiche in termini di nesso causale. Infatti, in assenza di esami autoptici accertanti la causa della morte e in presenza di pazienti con un quadro clinico polipatologico, è stato impossibile collegare oggettivamente condotta ed evento. Se da un lato appare probabile, almeno con riguardo ai pazienti, che il contagio sia avvenuto all’interno delle Rsa, non pare possibile accertare con il dovuto grado di certezza quali siano state in concreto le modalità con le quali tale contagio sia avvenuto, né, di conseguenza, se la singola condotta in concreto tenuta dal personale sia da considerarsi passibile di rilievi colposi”.

Ad indagare sul numero di morti anomale da Coronavirus in territorio cremonese sotto la supervisione del procuratore è stato il pool composto dai pm Lisa Saccaro, Ilaria Prette, Milda Milli e soprattutto Davide Rocco, che ha portato avanti l’inchiesta insieme ai carabinieri del Nas che il 4 maggio del 2020 dalle otto Rsa avevano acquisito un’enorme mole di documentazione, tra cui la corrispondenza intercorsa tra le Rsa e le autorità sanitarie come Regione, Ats e Asst, i protocolli operativi interni attuati al fine di fronteggiare la pandemia e le attività sulla formazione e informazione dei dipendenti circa il rischio biologico da Covid-19. “Un lavoro macroscopico”, lo aveva definito il procuratore, che oggi ha voluto elogiare il lavoro e le capacità professionali dimostrate dai carabinieri del Nas in questa delicata e difficile indagine volta ad accertare le ipotesi di reato di epidemia colposa, omicidio colposo e lesioni colpose.

“Indagini”, come ha sottolineato lo stesso procuratore, “apparse da subito ad esito incerto”, in quanto “il reato di epidemia, tanto più nella forma colposa, risultava inadeguato a descrivere i fatti pandemici che si sono verificati. La norma, infatti, è pensata con riguardo ad una diffusione dolosa di germi patogeni”. Dall’altra parte, “appariva particolarmente difficile l’attribuzione di responsabilità a specifiche persone in relazione a singoli casi di decesso o lesioni di fronte ad un fenomeno che con evidenza appariva il risultato dei comportamenti di diversi organi di tutela sanitaria, molteplici e sinergici, genericamente accomunabili da sottovalutazione del rischio”.

La procura, però, aveva ritenuto necessario approfondire i fatti, “perché da una parte non si poteva escludere che ci fossero stati comportamenti rimproverabili penalmente, e dall’altra per rispondere ad una esigenza di trasparenza in presenza di un fenomeno che ha provocato sgomento nella collettività e conseguenti legittimi interrogativi su possibili responsabilità”.

Oltre ai documenti medici, era stata analizzata anche documentazione fiscale per verificare l’adeguatezza e la funzionalità del sistema di approvvigionamento dei dispositivi di protezione da parte delle strutture socio-sanitarie perquisite, sia con riguardo alle giacenze effettive presenti nella fase pre-emergenziale, sia alle forniture ricevute nella fase emergenziale. Ciò che è emerso è che in quasi tutte le strutture le giacenze già presenti nelle fasi pre-emergenziali non consentivano di far fronte alla situazione in modo adeguato. Tranne che per l’Ospedale Della Carità Casa Di Riposo di Casalbuttano, dove è stata accertata la presenza di un numero di dispositivi in giacenza congruo e tale da consentire una prima gestione della situazione di criticità.

Altra peculiarità ha riguardato la Fondazione La Pace Onlus di Cremona, dove invece non sono stati trovati dati inerenti le giacenze dei dispositivi nella fase pre-pandemica. Al momento dell’accesso del Nas, non erano reperibili dati sulle scorte. Da parte sua, l’Rsa ha riferito che la necessità di una precisa numerazione dei dispositivi disponibili prima della pandemia non era considerata, in quanto erano comunque di facile reperimento, con costi bassissimi e con tempi di consegna pressoché immediati.

Per tutte le strutture, in ogni caso, la procura ha riconosciuto lo sforzo, spesso anche economico, per trovare i dispositivi durante la fase pandemica, ma infruttuoso per lo stato di crisi dovuto al progredire della pandemia a livello mondiale, con il conseguente effetto di rendere ostico il reperimento di mascherine, tute e visiere protettive.

Il procuratore ha evidenziato che “i responsabili di molte delle strutture, non riuscendo a reperire quantitativi di dispositivi sufficienti a fronteggiare l’emergenza, in diverse occasioni ne hanno rappresentato la carenza ad Ats Val Padana e a Regione Lombardia. non ottenendo, per lo più, adeguato seguito, così come comprovato dalle numerose comunicazioni registrate tramite e-mail, analizzate e rinvenute a seguito dei backup forensi effettuati”.

Per quanto riguarda invece gli accertamenti finalizzati alla ricerca di possibile nesso tra i contagi e i decessi avvenuti all’interno delle strutture e la strategia di prevenzione e gestione del rischio contagio posta in essere dai rispettivi enti, è emerso che tutte le Rsa, nonostante fossero già avvenute le prime notifiche di allerta inerenti il dichiarato stato di emergenza sanitaria nazionale del 31 gennaio 2020, fino al 21 febbraio 2020, giorno in cui era stato registrato il primo caso di Coronavirus in Italia, non avevano adottato alcuna misura preventiva.

“Inattività”, queste, ha spiegato il procuratore, “in parte da ricondursi alla circostanza che Ats Val Padana non aveva diramato le circolari regionali con le indicazioni che avrebbero permesso alle Rsa di recepire e gestire il rischio imminente di una pandemia e, quindi, di prepararsi all’incombente emergenza. Tali oneri, posti in capo ad Ats, derivavano dall’emanazione del Piano Pandemico Regionale del 2006 in forza del quale la stessa era investita di precisi compiti”. Ats, invece, “è apparsa non sufficientemente preparata ad affrontare una tale emergenza sanitaria e, per tale motivo, ha mancato di offrire l’immediato supporto necessario alle Rsa”.

Se questa era la situazione nella fase pre-pandemica, dopo il 21 febbraio del 2020 quasi tutte le strutture avevano inibito immediatamente l’accesso ai parenti e ai visitatori, ma senza predisporre procedure volte al monitoraggio clinico degli anziani. “Cosa che sarebbe stata utile”, secondo il procuratore, “da un lato al rilevamento dei casi sospetti, e dall’altro a mettere in atto le conseguenti misure di isolamento degli ospiti infetti”. “Sul punto”, ha chiarito Pellicano, “è emerso tuttavia che il ritardo nell’esecuzione dei tamponi da parte di Ats e Asst ha influito negativamente e significativamente sulla gestione dell’emergenza da parte delle Rsa, e, in particolare, sulla individuazione dei casi sospetti ed il conseguente isolamento degli stessi volto a impedire il propagarsi del virus all’interno delle residenze”. Dalle mail acquisite, infatti, “emerge con evidenza  che, seppur richieste, Ats e Asst non avevano provveduto all’esecuzione di tamponi diagnostici in ragione della conclamata scarsità dei medesimi”.

Inoltre, “l’ambiguità normativa iniziale circa la definizione di ‘caso sospetto’ non pare aver agevolato la tempestiva messa in essere di procedure chiare, puntuali ed idonee per la gestione del rischio contagio all’interno delle strutture residenziali”. Solo nella metà di marzo 2020 era stato diffuso il rapporto che chiariva, nel dettaglio, le azioni da intraprendere nelle diverse fasi pre-pandemiche, pandemiche e post-pandemiche, con indicazioni specifiche di prevenzione e preparazione delle Rsa alla gestione di eventuali casi sospetti o confermati Covid. In seguito alla diffusione di questo rapporto, tutte le Rsa sottoposte ad indagini hanno provveduto ad aggiornare la valutazione del rischio biologico e a predisporre specifici protocolli operativi finalizzati alla gestione del rischio contagio all’interno delle varie strutture.

Le otto richieste di archiviazione saranno ora valutate dal giudice che deciderà se accoglierle o se chiedere ulteriori accertamenti.

Sara Pizzorni

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