Cronaca

Il Torriani conclude il percorso
di giustizia riparativa

Si è concluso il progetto “Un futuro in comune per essere al fianco di chi è vittima” atto a promuovere interventi che conducano alla costruzione di un sistema giustizia riparativa omogenea su base territoriale. Quest’anno la classe coinvolta dell’IIS Torriani è stata la 4^ A BIO, 28 alunni preparati dagli operatori delle Cooperative Dike e Cosper.
Le testimonianze dei ragazzi, raccolte nella giornata conclusiva del 2 maggio, sono state tutte all’insegna dello stupore.

L’esperienza, a tratti faticosa, li ha obbligati a fare i conti con le timidezze, le reticenze e i pregiudizi; ha donato un nuovo sguardo sulla realtà: “realtà non perfetta, ma questo già lo sappiamo – sottolinea la prof.ssa Chiara Beccari che ha seguito il progetto – perché anche stare insieme ogni giorno nella cattività di un’aula non è sempre facile; gli studenti però hanno ciò che in carcere manca; la libertà di fuggire, di tornare a casa da chi li aspetta e li ama, hanno famiglie premurose, relazioni sane e soddisfacenti, hanno la speranza del futuro, il desiderio di realizzarsi”.

Gli alunni della 4A BIO hanno incontrato una realtà di sofferenza e stare nella sofferenza dell’altro “non è facile, è mentalmente pesante- dice Francesca -, ma quando si ha il coraggio di rimanere è trasformante”. Lucia spiega che “l’ascolto dell’altro ci aiuta, perché ci mette in discussione e questo fa crescere”. In effetti il valore dell’ascolto è ciò che in assoluto portiamo a casa da questa esperienza, “indispensabile per comprendere il comportamento di chi ci sta di fronte senza attaccarlo”, ricorda Angelica – “Così come abbiamo capito che non solo è importante comprendere le ragioni dell’altro, ma anche conoscere l’origine di chi abbiamo davanti, le sue radici, le sue mancate opportunità che possono determinare comportamenti sbagliati, che oggi, qui in questo carcere si scontano”.

E ancora Momo: “Impariamo che, come non giudichiamo un libro dalla copertina, così non possiamo giudicare una persona da un errore” . Isabella condivide con il gruppo che ad un certo punto si è dimenticata di essere in mezzo ai detenuti, i pregiudizi erano crollati: “Siamo dovuti entrare in un carcere, per abbattere i muri della distanza e dei preconcetti”.
“E’ stata una delle esperienze più belle della mia vita”, sostiene Dora e le fa eco Alessandro. Sul profilo emotivo in particolare, l’esperienza ha portato una riflessione personale, sul valore delle vite che si conducono e sul dono delle famiglie che ci sostengono. L’esperienza di vita per una volta ha ceduto il passo alla didattica.

“Il fare insieme ci ha avvicinato” dice Donia, “ha svelato aspetti di compagni che nonostante la prossimità delle lezioni non si conoscono, a conferma del valore del dialogo e dell’ascolto che apre mondi, orizzonti e spazi nuovi di relazioni”. Dall’altra parte gli operatori hanno riferito che per i detenuti incontrare questi ragazzi così spontanei con il loro vissuto di bene e di sofferenza ha smosso dei mondi interiori e ha permesso uno scatto in avanti nella consapevolezza e nel desiderio di riparare. Le porte girevoli del dolore e del rimorso si sono aperte, il nodo dell’orrore delicatamente ha iniziato a sciogliersi senza perdere nulla di ieri, ma nella consapevole certezza che oggi per amore si può rinascere e ricominciare, anche dentro un carcere, se il cuore è pronto.

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