Strage Capaci: la testimonianza
di Tirindelli, uomo della scorta

La strage di Capaci è una pagina di storia che nessuno potrà mai dimenticare. Una tragedia che è stata raccontata giovedì mattina in Sala Maffei agli studenti cremonesi, grazie a un incontro organizzato dal Rotary Cremona Po – Distretto 2050, con la testimonianza di Luciano Tirindelli, agente di Polizia ed ex membro della scorta del giudice Giovanni Falcone. Tirindelli, quel giorno, sarebbe dovuto essere sull’auto saltata in aria, ma si salvò grazie a un cambio di turno.
“Sì, esattamente, su quella macchina. Per una serie di circostanze non c’ero, ma effettivamente il turno del pomeriggio era il mio. Poi, il mio collega Antonio Montinaro prese il mio posto” ha raccontato Tirindelli prima dell’incontro con gli studenti. “Me l’hanno comunicato il giorno prima. Ovviamente nessuno sapeva quando sarebbe arrivato il magistrato. Io sono andato in aeroporto, ma era un falso allarme, perché poi effettivamente è arrivato nel pomeriggio con la moglie Francesca Morvillo”.
Come si è sentito negli anni successivi alla strage, sapendo di essere scampato alla morte?
“Questa è una domanda che mi fanno spesso e ogni volta mi lascia spiazzato. C’era da comprendere l’entità di quello che era accaduto. Le settimane successive sono state durissime per noi della scorta: dovevamo razionalizzare la strage, capire che Giovanni Falcone non c’era più, che i miei colleghi erano morti, che era successa una cosa gravissima. È stato un periodo di confusione e demoralizzazione profonda. Poi però arriva il momento di reagire, di capire il senso di ciò che è accaduto e portare avanti quell’idea di giustizia e legalità che Falcone ci ha trasmesso”.
Come racconta oggi Giovanni Falcone ai ragazzi?
“Più che il magistrato, vorrei raccontare l’uomo Giovanni Falcone. Scusatemi se non lo chiamo ‘dottor Giovanni Falcone’, sarebbe il modo istituzionale di riferirsi a lui, ma per noi della scorta era semplicemente Giovanni. Lo chiamavamo così quando eravamo in macchina con lui. Era una persona positiva, allegra, sempre sorridente, a meno che non ci fossero problemi al Palazzo di Giustizia di Palermo. Amava il mare, nuotare, pranzare con gli amici. Ho tanti ricordi di momenti di relax, di risate e spensieratezza. Era un uomo conviviale, simpatico, serio e determinato quando parlava di giustizia, ma capace di grande umanità nella vita di tutti i giorni”.
Dopo quello che è successo, ha sentito il dovere morale di portare avanti un’eredità etica?
“Sicuramente. Per mettere fine al sistema mafioso, come diceva Giovanni Falcone, serve una rivoluzione culturale. Questa rivoluzione deve partire dal basso, dai giovani, dalla consapevolezza di non cedere a certi meccanismi di appartenenza alle lobbies, alle raccomandazioni, a quel sistema clientelare che ci portiamo dietro da sempre. Purtroppo, noi adulti spesso non abbiamo dato il buon esempio.
Mi dispiace molto, in questi giorni, aver visto alcuni magistrati protestare con la Costituzione in mano per i loro diritti. Io credo che la magistratura italiana debba avere più rispetto per i cittadini, più che pretendere di essere ulteriormente tutelata. Falcone chiedeva a gran voce l’attuazione della responsabilità civile dei magistrati. Ora che questa proposta torna a farsi strada, vedremo cosa succederà”.
Dal 2020, Luciano Tirindelli porta avanti la sua testimonianza con l’Associazione Scorta Falcone Q.S.15, il cui nome riprende il codice identificativo assegnato al giudice assassinato il 23 maggio 1992. Attraverso una serie di incontri in tutta Italia, si impegna a ricordare le vittime della mafia e a diffondere la cultura della legalità, con un’attenzione particolare ai più giovani.
Nicoletta Tosato