Cronaca

Preso a martellate al CremonaPo
La vittima: "Violenza inaudita"

Tre a processo con l'accusa di tentato omicidio

Uno di loro mi ha dato una martellata sulla testa da dietro, gli altri mi hanno colpito con dei bastoni e delle mazze sulla testa e su un braccio. Ho visto che un altro aveva in mano un braccialetto di ferro. E’ stata una violenza inaudita“.

E’ il racconto reso in aula da un giovane indiano di 25 anni che verso le 14 del 23 novembre del 2023, nel parcheggio del centro commerciale CremonaPo, aveva subito una feroce aggressione da parte di alcuni connazionali. In tre sono a processo con l’accusa di tentato omicidio. Per la stessa accusa, un quarto imputato, processato lo scorso giugno con il rito abbreviato, era stato condannato a tre anni e due mesi di reclusione. Come risarcimento, il gup aveva disposto una provvisionale di 10.000 euro.

L’avvocato Grazioli

Oggi è entrato nel vivo il processo agli altri connazionali, tre giovani di di età compresa tra i 22 e i 29 anni, assistiti dagli avvocati Cesare Grazioli, Alessandro Vezzoni e Michele Barrilà. La vittima si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Sonia Tonoli, del Foro di Piacenza.

In seguito al pestaggio, il 25enne indiano era finito in ospedale con la frattura scomposta dell’ulna e un trauma cranico per un totale di 81 giorni di prognosi. “Sono stato in malattia per cinque mesi”, ha raccontato la vittima, “con il braccio non riuscivo a lavorare. Non sono mai stato pagato e non potevo mandare i soldi ai miei genitori in India. Sono figlio unico e il solo in famiglia che lavora. Ho passato dei momenti davvero difficili“.

Il giovane ha ricordato di essere stato colto di sorpresa alle spalle dal primo colpo che gli era stato sferrato. “Non sono caduto, ma per la botta mi sono piegato in avanti. Ho cercato di scappare ma sono stato inseguito e colpito nuovamente. “Questa volta ti abbiamo solo fatto a pezzi, la prossima volta ti ammazziamo“, gli avevano detto.

L’avvocato Vezzoni

Da Casalbuttano, il ragazzo era arrivato a Cremona in treno insieme a due amici per poi raggiungere il centro commerciale. Secondo chi ha indagato, si è trattato di una vera e propria “spedizione punitiva, un atto premeditato”. Dalla descrizione fornita dalla vittima, dalle immagini delle telecamere del CremonaPo e della stazione, gli agenti della Mobile avevano appurato che alcuni degli indiani che avevano partecipato al pestaggio erano sullo stesso treno e avevano fatto lo stesso tragitto per arrivare al centro commerciale.

Il gruppo si era poi nascosto in una siepe a ridosso delle scale che portano all’ingresso e avevano atteso l’arrivo del connazionale. Quando si era scatenata l’aggressione, uno dei due amici del 25enne aveva cercato di intervenire, ma era stato minacciato. “Spostati, se no picchiamo anche te”.

L’unico imputato che la vittima ha detto di conoscere era stato suo coinquilino e collega di lavoro in una cooperativa agricola. All’epoca dei fatti, il 25enne aveva spiegato agli inquirenti di essersi lamentato del connazionale Gian, “spesso ubriaco e molesto”, che il datore di lavoro aveva poi trasferito. “Le ragioni di quanto accaduto non le ho capite fino in fondo”, ha detto oggi il 25enne. “In casa con noi c’era anche un altro ragazzo. Io gli ero amico, invece lui e Gian litigavano spesso”.

L’avvocato Barrilà

Dopo il pestaggio, gli aggressori erano fuggiti in direzione di via Sesto, e una testimone, all’arrivo della polizia, aveva riferito di aver visto un gruppo di ragazzi che rincorreva un giovane. “Ero con mia madre e stavamo andando a fare la spesa”, ha raccontato in aula la donna. “Ad un certo punto ho visto una squadra di ragazzi che correva. Uno aveva in mano un martello e cercava di colpire un giovane. Poi tutti si sono spostati verso il parcheggio e io nel frattempo, anche per una questione di educazione civica, ho chiamato la polizia. Erano in tutto otto o nove persone. Non ero vicinissima. Tranne il martello, non ho visto altre armi“.

Un altro testimone aveva visto il gruppo allontanarsi a bordo di una Mercedes classe A della quale aveva trascritto la targa. Dalle indagini era emerso che l’auto era intestata alla madre di uno dei componenti del gruppo.

Altri testimoni saranno sentiti nell’udienza del prossimo 14 aprile.

Sara Pizzorni

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