Business illeciti nell'edilizia e contatti con la 'ndrangheta A giudizio il ‘boss’ Iannone
Contatti sarebbero stati in essere anche con il mondo politico-amministrativo. Le carte che descrivono il quadro accusatorio riferito all’organizzazione di cui Giovanni Iannone sarebbe stato il capo parlano di “concreto rischio di infiltrazioni nel settore politico-amministrativo”.
Edilizia, illeciti e legami con la ‘ndrangheta. Prima importante tappa giudiziaria per la maxi operazione culminata nell’aprile del 2015 che aveva portato all’arresto di dodici persone coinvolte in attività illecite legate principalmente a truffa, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta e riciclaggio attraverso società edili e di movimento terra. Oggi il gup Letizia Platè ha rinviato a giudizio colui che la procura considera il capo dell’intero sodalizio, Giovanni Iannone, 58enne originario di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
A processo anche Antonio Del Ponte, napoletano 35enne, e Stefan Dragos Babei, romeno 36enne, tutti residenti a Cremona, anche loro accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, all’appropriazione indebita, al riciclaggio, al falso documentale, al trasferimento fraudolento di valori, ad atti estorsivi, a distrazione di beni, a dichiarazione fraudolenta con fatture per operazioni inesistenti. Obiettivi illeciti per i quali si sarebbe lavorato con la costituzione di alcune società o attraverso l’acquisto di altre, talvolta in chiare difficoltà, poi intestate a prestanome e utilizzate per fare contratti di leasing o noleggio e appropriarsi di mezzi da lavoro senza versare le rate necessarie.
Un’indagine complessa e lunga fatta di intercettazioni telefoniche e ambientali, di pedinamenti e appostamenti. Emersi anche metodi violenti nella gestione delle società, ad esempio nella riscossione di crediti. Secondo quanto ricostruito, le società venivano spolpate e utilizzate per propositi criminali prima di fallimenti pilotati.
Per Iannone, Del Ponte e Babei e per altri imputati finiti nell’inchiesta e oggi rinviati a giudizio, il processo si aprirà il prossimo 29 maggio davanti al collegio.
Condannati, invece, Antonio Iannone, crotonese, il figlio 37enne di Giovanni, e Carlo Iannone, 64enne di Isola Capo Rizzuto, fratello di Giovanni. Antonio e Carlo sono stati processati con il rito abbreviato e condannati, Antonio a due anni e sei mesi, e Carlo a sei mesi (per Antonio il pm Carlotta Bernardini aveva chiesto sei anni, mentre per Carlo quattro anni e due mesi). Molti episodi sono caduti in prescrizione. Antonio è stato condannato per un episodio di bancarotta fraudolenta, mentre Carlo per una truffa. Giovanni e Carlo Iannone sono difesi dall’avvocato Raffaella Parisi, Antonio Iannone dall’avvocato Marcello Lattari, Del Ponte dal legale Alessandro Corrà, mentre Babei dall’avvocato Francesco Ferrari.
Il fascicolo d’indagine era arrivato a Cremona nel 2010 dalla procura distrettuale di Brescia attiva nel contrasto ai fenomeni di mafia. A Brescia, l’inchiesta era stata aperta inizialmente con l’accusa di associazione mafiosa, poi caduta dopo la valutazione del gip bresciano. Successivamente gli atti erano stati trasferiti alla procura cremonese.
Sebbene non sia stata contestata l’accusa di associazione mafiosa, non sono comunque mancati nell’inchiesta i collegamenti con ambienti di ‘ndrangheta, considerati i contatti tra Giovanni Iannone e personaggi come Francesco Lamanna, finito nell’inchiesta ‘Aemilia’ e ritenuto il referente nel cremonese della cosca Grande Aracri di Cutro. Un segnale della vicinanza agli ambienti della ‘ndrangheta è determinato da un incontro avvenuto nel 2010 nella sede di una delle società e al quale hanno partecipato Giovanni Iannone, Francesco Lamanna, Salvatore Muto, il presunto guardaspalle di Lamanna nel cremonese, finito pure lui nell’inchiesta ‘Aemilia’, e Nicolino Sarcone, il presunto uomo di fiducia della cosca Grande Aracri a Reggio Emilia. Si discuteva di possibili affari con fatture inesistenti.
L’indagine menziona infiltrazioni in appalti con lavori in nero quando formalmente l’azienda titolata era un’altra (l’allora procuratore Roberto di Martino aveva fatto riferimento al cantiere per la costruzione del nuovo ospedale di Bergamo) e possibili infiltrazioni nel settore politico-amministrativo.
Nell’ordinanza di arresto firmata dall’allora gip Guido Salvini si menzionano fatti “i cui contorni non sono ancora ben definiti, ma consentono di avere un quadro ancora più chiaro della spiccata capacità criminale e pericolosità sociale di Iannone Giovanni e delle persone attorno a lui gravitanti”. La vicenda riguarda contatti tra Giovanni e Antonio Iannone e due soggetti interessati a coinvolgerli in una operazione speculativa per arrivare al cambio di destinazione d’uso di un terreno nel cremonese (da zona agricola a residenziale) che avrebbe così moltiplicato il valore fino a decine di milioni di euro. Uno dei due interlocutori degli Iannone sembra potesse contare su un politico non identificato a cui “bisognava dare una mano” alle elezioni regionali del 2010 in cambio di un intervento per il cambio di destinazione del terreno. In un’intercettazione del 3 marzo 2010 Giovanni Iannone sostiene di poter garantire “i voti della famiglia e degli amici della famiglia”.
Sara Pizzorni