Cronaca

Martinotti: chiesta condanna per
due omicidi colposi e per la truffa

E in aula è spuntata un'intercettazione
"sconcertante" dell'ex primario, non utilizzabile nel processo
ma tirata in ballo dall'avvocato di parte civile Mario Palmieri

Assoluzione per il caso del paziente Renzo Tanzini, condanna a un anno di reclusione per il caso di Pasquale Dornetti, condanna ad un anno per il caso di Maria Panigazzi. Sono le richieste del pm Davide Rocco nelle conclusioni del processo contro l’ex primario del reparto di Chirurgia dell’ospedale di Cremona Mario Martinotti, 66 anni, di Pavia, accusato di tre casi di omicidi colposi (un quarto è già prescritto) e, insieme alla moglie Floriana Maggi, anche per truffa aggravata all’Asst. Per la truffa, il pm ha chiesto un anno, 6 mesi e 1500 euro per Martinotti, mentre per la Maggi, un anno e mille euro di multa. La sentenza, dopo le repliche, sarà pronunciata il prossimo 29 giugno.

Oggi in aula le parti hanno sviscerato tutti i casi contestati a Martinotti, ripercorrendo le dichiarazioni dei rispettivi periti chiamati ad investigare l’operato dell’ex primario. Per la procura, il medico, in pensione dal primo gennaio 2020, avrebbe sottoposto i pazienti ad operazioni di cui non avrebbero avuto necessità dopo aver effettuato delle diagnosi superficiali. Per la difesa, invece, quelle operazioni erano l’unica possibilità curativa.

Martinotti (a sinistra) con gli avvocati Carlo Enrico Paliero e Luca Curatti

IL CASO DORNETTI

Nel caso di Pasquale Dornetti, 78 anni, affetto da tumore al fegato, l’avvocato Mario Palmieri, legale di parte civile per la moglie e il figlio della vittima, ha tirato in ballo nelle sue conclusioni un’intercettazione telefonica, non utilizzabile nel processo, in cui Martinotti si lamenta della scarsità di interventi per alcune patologie tumorali. “Un periodo grigio”, dice il medico. “Una intercettazione sconcertante”, l’ha definita l’avvocato Palmieri, “che non può non far pensare che proprio a causa della diminuzione degli interventi chirurgici si sia voluto osare più del lecito. Ci si è assunti dei rischi che in altre situazioni non si sarebbero corsi”.

Gli avvocati Palmieri (a sinistra) e Giarrusso

Per i medici dell’ospedale San Raffaele di Milano, Pasquale Dornetti era inoperabile. Non così per Martinotti, che il 30 giugno del 2017 lo aveva sottoposto ad un’operazione chirurgica. Durante l’intervento, però, era sorta una lacerazione della via biliare all’ilo epatico: una complicanza che aveva causato al paziente uno stato settico. Il 10 luglio Dornetti era stato nuovamente operato, ma era morto quattro giorni dopo per l’insorgere di un episodio acuto cardiovascolare. “Dornetti è deceduto pochi giorni dopo i due interventi”, ha detto il legale di parte civile: “chiaro, dunque, il nesso di causalità tra la condotta del medico e le conseguenze”. Per la moglie e il figlio della vittima, l’avvocato Palmieri ha chiesto 550.000 euro di risarcimento.

“La lesione alle vie biliari”, per il pm Rocco, “si è originata a causa dell’intervento. Il trattamento di chemioembolizzazione a cui il paziente era stato sottoposto aveva dato dei buoni risultati. La scelta di Martinotti di operarlo è stata carente sotto il profilo della prudenza”.

L’avvocato Munafò

Diversamente, per i consulenti nominati dagli avvocati difensori Carlo Enrico Paliero e Luigi Fornari, “è stato grazie alla riduzione della massa che è stato possibile operare, non rendendo vano il percorso palliativo che si era fatto con la chemioembolizzazione. Senza l’operazione, il paziente avrebbe avuto una prognosi di sei mesi, mentre se non ci fosse stata quella complicanza, l’aspettativa di vita era di cinque anni”.

Nel processo contro Martinotti c’è anche l’Asst, chiamata in causa come responsabile civile dagli avvocati di parte civile Guido Maria Giarrusso e Mario Palmieri. A rappresentarla è l’avvocato Diego Munafò, che oggi, proprio sul caso Dornetti, ha spiegato che “l’alternativa non era quella di non operare il paziente, lasciandolo al suo destino. Non si poteva lasciar progredire il tumore in un paziente fortemente determinato a curarsi. Dornetti voleva vivere”.

IL CASO PANIGAZZI

La condanna per Martinotti è stata chiesta anche per quel che riguarda il caso di Renza Maria Panigazzi, 75 anni, paziente che soffriva di una lesione cistica alla testa del pancreas. Il medico l’aveva operata il 3 dicembre del 2018, anche se la lesione era benigna, così come dimostrato dagli esami diagnostici e dai marcatori tumorali negativi. Anche per lei nell’operazione era sorta una complicanza: un’ischemia al fegato. Secondo l’accusa, a quel punto il primario non aveva disposto alcun intervento, come ad esempio una epatectomia. Renza Maria morirà il 7 febbraio del 2019 per un grave stato settico.

Una lesione cistica che per il pm non era da operare perchè benigna. Non così per i consulenti della difesa, che in aula avevano sostenuto che la lesione si stava modificando e che c’era un effetto di compressione. “L’intervento era fortemente consigliato”. Per gli esperti della difesa, la Panigazzi era riuscita ad uscire da un decorso post operatorio difficile, ma era deceduta per “un evento acuto di origine cardiaca dovuto ad un problema autonomo, un problema legato ad una zona anatomica che nulla aveva a che fare con la lesione per cui era stata operata”.

IL CASO TANZINI 

Nel caso di Renzo Tanzini anche il pm ha chiesto l’assoluzione, sostenendo l’assenza di prove che un diverso comportamento da parte dell’imputato avrebbe potuto evitare il decesso.

Chi ha dato battaglia alla difesa è stato invece l’avvocato Guido Giarrusso, parte civile per l’unico fratello della vittima, per il quale il legale ha chiesto un risarcimento di 222.000 euro.

Tanzini era un paziente di 51 anni con un tumore al duodeno che aveva già intaccato il pancreas. Tanzini, che aveva una malattia rara, la sindrome di Lynch, patologia ereditaria caratterizzata dall’aumentato rischio di sviluppare il carcinoma colorettale, era già stato sottoposto nel 1996 all’asportazione di una neoplasia nella parte sinistra del colon, mentre nel 2011 aveva subito un’operazione di asportazione di un’altra neoplasia maligna. Nel maggio del 2016 era stato ricoverato a Cremona per essere operato del tumore al duodeno.

Prima dell’intervento, effettuato l’8 giugno, il paziente era stato sottoposto ad una colonscopia che aveva segnalato la presenza di un adenoma al colon potenzialmente pericoloso che bisognava asportare.  Si era quindi deciso di associare i due interventi, ma durante l’operazione, durata otto ore, erano sorte delle complicanze: un quadro di peritonite e ischemia in tutto l’intestino. Tanzini era stato poi sottoposto ad un’angiografia e operato di nuovo, ma solo il giorno dopo, quando il quadro clinico era ormai compromesso. Il 51enne era stato sottoposto ad altri 16 interventi chirurgici con i quali gli era stato asportato l’intestino quasi interamente. Il decesso era sopraggiunto il 15 agosto.

Per l’avvocato Giarrusso, “Tanzini è stato sottoposto ad un’agonia prima della morte. La lesione era benigna, e quindi non avrebbe dovuto essere operato; avrebbe invece dovuto essere sottoposto ad una profilassi anticoagulante, cosa che non è stata fatta, e nei suoi confronti si è proceduto con negligenza in quanto si doveva intervenire tempestivamente”.

Quello di Tanzini, per i consulenti della difesa, era un caso particolare per via della sindrome di Lynch. Con quella rara malattia, per gli esperti, “il rischio che quell’adenoma piatto si potesse trasformasse in tumore maligno era totale, diversamente da quello che accade per un tumore sporadico. Nel caso di questo paziente la curva del rischio è una curva che non ha una fase discendente. Valeva la pena fare quell’intervento”. I consulenti della difesa si erano detti “sicuri al 50% che quell’adenoma sarebbe andato incontro a degenerazione, e quindi non c’era motivo di fare la biopsia, che spesso dà il rischio di avere dei falsi negativi”. Di più: “fare la biopsia avrebbe comportato anche un rischio di perforazione, dovendo procedere non su un polipo con le solite caratteristiche, ma su un adenoma piatto di 4 cm”. Infine “non è stato dimostrato che le problematiche siano state provocate dall’associazione dei due interventi, nè che un intervento più veloce avrebbe cambiato le cose”.

“Per questo paziente è stato fatto tutto il possibile per dargli una chance di vita”, ha detto oggi l’avvocato Munafò per l’Asst. “Altri, invece, optano per le cure palliative, la medicina difensiva”.

LA TRUFFA

Per quanto riguarda invece l’ipotesi di truffa, la procura contestata a Martinotti e alla moglie Floriana Maggi, 55 anni, dentista di Pavia, il fatto che, pur avendo un rapporto esclusivo con l’Azienda sanitaria territoriale, pagato con una indennità di 52.577,74 euro lordi, avrebbero costituito ‘fittiziamente’ il poliambulatorio studio medico poli specialistico Clastidium di Voghera. La moglie, ufficialmente rappresentante legale della struttura in cui di fatto esercitava solo il marito, aveva sottoscritto con l’Asst una convenzione con la quale si autorizzava il marito ad esercitare la libera professione presso il poliambulatorio. Per l’accusa, inducendo in errore la stessa Asst sul rispetto del rapporto di esclusività. La truffa sarebbe cominciata il 24 febbraio fino al 31 dicembre 2019, quando il medico si era ritirato.

Per la difesa, rappresentata dagli avvocati Carlo Enrico Paliero per Martinotti e Luca Curatti per la Maggi, era invece tutto regolare. Nella sua arringa, l’avvocato Curatti ha cercato di smontare le accuse messe in piedi dalla guardia di finanza, sostenendo che l’attività rispettava tutti i requisiti richiesti e che nulla, anche a livello di orari, è mai stato sottratto al lavoro di Martinotti all’Asst, che, come ha fatto notare l’avvocato Curatti, non si è costituita parte civile.

Sara Pizzorni

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